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Candida auris, il fungo killer che sfida i farmaci

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batteri ed evoluzione

Candida auris, il fungo killer che sfida i farmaci

Marka
Marka


In uno dei suoi libri meglio riuscito, Gli alberi non crescono fino al cielo (Mondadori 1998), il paleontologo Steven Jay Gould confutava la diffusa credenza per cui la specie umana sarebbe la frontiera più avanzata dell'evoluzione biologica verso la complessità. In realtà, argomentava Gould con valide prove, non sono gli animali complessi a essere rappresentativi delle preferenze dell'evoluzione, ma i batteri. I batteri da sempre sono le specie più vastamente e quantitativamente rappresentate sul pianeta. Il mondo biologico, nella sua interezza, è controllato dai batteri. E il nostro rapporto con loro oscilla perennemente tra il simbiotico, come il microbioma che ospitiamo dentro di noi, e l'antagonistico, come le numerose malattie infettive che ci minacciano. Le specie simbionti di batteri possono evolvere in patogene e viceversa, semplicemente a causa di qualche mutazione genetica o del trasferimento orizzontale di qualche gene.

In queste settimane, negli Stati Uniti, ci si interroga sul perché i Center for Disease Control di Atlanta non comunicano tutte le informazioni relative alla diffusione anche in quel paese di un fungo, Candida auris, resistente agli antimicotici e che può uccidere in 90 giorni le persone infettate. Si tratta di altro agente infettivo, conosciuto dal 2009 e largamente diffuso nei paesi in via di sviluppo, che si va ad aggiungere alle centinaia segnalati dalle organizzazioni sanitarie come pericolosi superbag, cioè batteri resistenti ai trattamenti antibiotici, che arrivano nei paesi sviluppati.

Forse i CDC non comunicano le informazioni sugli ospedali dove si sono avuti i circa 500 casi per non danneggiare l'immagine di quelle strutture. In quel paese sono circa un milione le persone che contraggono infezioni resistenti a trattamenti antibiotici, e oltre ventimila di loro muoiono ogni anno. L'Italia è messa molto peggio. Circa diecimila persone muoiono ogni anno a causa di infezioni resistenti agli antibiotici (ma la nostra popolazione è un quinto di quella statunitense), ovvero contribuiamo da soli per ben un terzo alla mortalità in Europa da microbi resistenti agli antibiotici. L'OMS stima in circa un milione i morti nel mondo per questa causa, che diventeranno 2,5 milioni nel 2050. Ma un rapporto britannico calcola che la mortalità mondiale nel 2050 sarà 4 volte tanto.

Cosa sta accadendo? Perché da alcuni anni i batteri, che sembravano essere sotto controllo grazie alla scoperta degli antibiotici, dopo che per millenni avevano falcidiato l'umanità insieme a virus e protozoi, sono tornati una seria minaccia? Nei centri medico-sanitari che studiano e intervengono per far fronte a rischi di epidemie si teme un'ecatombe causata da una serie di ceppi batterici che stanno acquisendo resistenza contro quasi tutti gli antibiotici disponibili.

Lo sviluppo della resistenza agli antibiotici è previsto dalla teoria darwiniana dell'evoluzione e nella sua Nobel Lecture del 1945, Alexander Fleming, che scoprì la penicillina, presagì che da lì a qualche anno l'abuso del farmaco avrebbe selezionato dei microbi resistenti. Fatto che si osservò nel 1952, come conseguenza del trasferimento di un gene naturalmente resistente che preesisteva da almeno un paio di secoli in batteri che infettano l'uomo. La resistenza è la conseguenza o di geni già esistenti in natura che neutralizzano l'antibiotico, o di mutazioni o di geni che le specie batteriche si scambiano tra loro. Si tratta di meccanismi evoluti dai batteri per rispondere adattativamente alle pressioni selettive o per invadere nuove nicchie ecologiche. Tra cui le navicelle spaziali. Questi ceppi si sviluppano prevalentemente negli ospedali, di preferenza in quelli dei paesi in via di sviluppo dove l'igiene è scarsa, e sono selezionati dalle deboli risposte immunitarie dei malati e da un uso inadeguato degli antibiotici. Ovvero l'uso non mirato, come i trattamenti non completati, il consumo diffuso di antibiotici ad ampio spettro, o l'uso sugli animali da allevamento: queste ed altre pratiche determinano una pressione selettiva che favorisce la sopravvivenza di batteri portatori di geni per la resistenza o con mutazioni genetiche che li rendono resistenti.

Negli anni scorsi si creò agitazione in occidente per l'arrivo di NDM-1 (New Delhi metallo-beta-lattamasi-1), cioè di un gene che rende i batteri resistenti a una delle classi di antibiotici più potenti, i carbapenemici. Il gene NDM-1 era stato identificato nel dicembre del 2009 negli ospedali di New Delhi, appunto, e aveva cominciato a circolare anche in occidente con il ritorno di turisti o viaggiatori che per vari motivi erano stati a contatto con gli ospedali indiani e pakistani. Nemmeno uno dei pochi antibiotici efficaci contro i ceppi portatori del gene, la colistina, risultava efficace. Negli Stati Uniti ci si sta chiedendo se i ceppi di batteri che acquisiscono questo gene, diventeranno più pericolosi dello Stafilococco aureo resistente alla meticillina (MRSA), che negli anni Novanta e fino a pochi anni uccideva in ambiente ospedaliero quasi il 50% di coloro delle persone anziane che lo contraevano. In Inghilterra e Galles, tra il 2005 e il 2007, circa 1600 certificati di morte riportavano la presenza del MRSA, che negli ultimi due anni ha ridotto il proprio carico di morte della metà.

Ciò che deve preoccupare non è tanto il fatto che i batteri acquisiscano la resistenza agli antibiotici. E' nella natura delle cose che questo avvenga e alla fine vinceranno loro. La tragedia è che le industrie farmaceutiche non riescono a produrre nuovi antibiotici. Per quelli che leggono i fenomeni sociali ed economici in chiave complottistica, ovviamente Big Pharma starebbe solo aspettando che i morti crescano per guadagnarci. In realtà, sarebbe quasi meglio se le cose stessero in questi termini. Le imprese farmaceutiche si stanno ritirando dalla ricerca di nuovi antibiotici perché i costi della ricerca e sviluppo non sono compensati economicamente dalle prospettive di guadagno. Nel luglio scorso si è sfilata anche Novartis, aggiungendosi ad Astra Zeneca e Sanofi nel ritenere queste ricerche non siano commercialmente convenienti. Peraltro, dal 2000 sono stati commercializzati solo 17 antibiotici e al momento non più di una cinquantina sono in fase di studio clinico.

Una nuova strategia terapeutica allo studio è l'uso dei fagi, cioè virus che infettano e uccidono i batteri. Un trattamento per così dire naturale che su alcuni modelli animali ha dato risultati incoraggianti. Si stanno per ora allestendo collezioni di batteriofagi, ognuno specifico per infettare e uccidere un determinato batterio e si sta testando in laboratorio la fattibilità di questo trattamento alternativo agli antibiotici.

La gestione del fenomeno del fatto che nel mondo medico-sanitario si fatica a ragionare usando i giusti concetti teorici. Vale a dire a usare la teoria dell'evoluzione. La resistenza agli antibiotici, come quasi tutti i problemi medici, si spiegano alla luce della teoria dell'evoluzione e se ai medici venisse somministrato un po' di pensiero darwiniano durante la loro formazione universitaria, forse ragionerebbero, comunicherebbero con i pazienti o agirebbero avendo presenti i rischi di ignorare i vincoli evolutivi ai quali tutti gli organismi sul pianeta sono sottoposti in ragione della loro filogenesi.

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