Cultura

La fattoria degli animali clonati

  • Abbonati
  • Accedi
la svolta

La fattoria degli animali clonati

Le  cellule staminali embrionali  umane unite  in sfere  in coltura
Le cellule staminali embrionali umane unite in sfere in coltura

L’annuncio della nascita della pecora Dolly nel febbraio 1997 sulla rivista scientifica Nature da parte di ricercatori scozzesi guidati da Ian Wilmut è una di quelle scoperte che obbligano a riscrivere i libri di testo. Fino a quel momento infatti erano stati clonati embrioni o forme larvali e si riteneva impossibile clonare individui adulti, tanto più mammiferi, e questo dimostravano anche gli studi del poi premio Nobel John Gurdon, uno dei pionieri della clonazione degli anfibi.

Nonostante tutti i pareri - espressi come dogmi -, i ricercatori scozzesi ed altri gruppi, compreso quello del sottoscritto, tentavano l’impossibile, mossi sia dal desiderio di sfida sia dalle prospettive di miglioramento genetico degli animali d’allevamento. La nascita di Dolly ha rappresentato un punto di svolta nella ricerca sulla clonazione animale, ma soprattutto nella scoperta dei meccanismi alla base della pluripotenza e del differenziamento cellulare. Senza il lavoro di Wilmut & Co non ci sarebbe stata la scoperta delle cellule iPS (staminali pluripotenti indotte) ad opera di Shina Yamanaka. L’impatto della clonazione di Dolly sulla medicina rigenerativa in campo umano è stato completamente ignorato dal Comitato del Nobel, così come il contributo della vera mente dietro Dolly, Keith Campbell, già tragicamente scomparso alcuni giorni prima dell’ assegnazione del Nobel a Gurdon/Yamanaka e dimenticato.

Gli animali d’allevamento sono stati i primi ad essere clonati, in parte per interesse commerciale, ma soprattutto perché le tecnologie di riproduzione assistita richieste erano e sono molto avanzate, e per la facilità con cui il grande numero di ovociti necessari per effettuare con successo questa procedura è reperibile nei macelli. Ad oggi sono oltre venti le specie di mammiferi clonati. Oltre a pecore, capre, bovini, bufali, maiali, cavalli e cammelli, sono stati clonati animali da laboratorio (topi, ratti, conigli), da compagnia (cani e gatti) e animali selvatici a rischio estinzione (gaur, banteg, muflone, furetto) con vari livelli di efficienza, in generale sempre bassa, ma con animali normali e in grado di riprodursi quando sono stati messi in condizione di farlo.

Lo scorso anno in Cina sono state clonate anche le prime scimmie. Oggi possiamo dire che tecnicamente è possibile clonare tutti i mammiferi,e che però il limite è dato dalla disponibilità di un sufficiente numero di ovociti della specie che si vuole clonare e dalle conoscenze delle tecniche di riproduzione assistita in quella particolare specie. Questo ad esempio, è un limite tecnico prima che etico alla clonazione dell’uomo.

Alla domanda che mi viene posta regolarmente, se l’uomo è stato clonato, la mia risposta è no: primo perché tecnicamente complicato e secondo perché non serve a nulla. In terzo luogo, non farebbe che danneggiare i ricercatori che lavorano in questo campo con seri obiettivi scientifici e pratici per avanzare le nostre conoscenze per migliorare l’ambiente e la qualità della vita rendendo più sostenibile l’allevamento degli animali. Non a caso, quando il toro Galileo fu clonato nel lontano 1999, il mandato d’arresto per l’animale e per il sottoscritto fu emesso in base ad un’ordinanza ministeriale che vietava ogni forma di clonazione a priori, presumendo che sarebbe stato altrimenti possibile clonare l’uomo.

Passato l’entusiasmo dei clonatori dell’ultima ora e il furore mediatico, la clonazione ha ritrovato una sua collocazione in contesti sia scientifici che pratici. Oggi, gli animali d’allevamento più clonati – a scopo biomedico – sono i maiali, soprattutto grazie alla scoperta delle tecniche di editing del genoma con CRISPR/Cas9.

Grazie alla clonazione è possibile generare l’animale con genoma modificato partendo da una cellula coltivata in vitro. Il maiale clonato con genoma editato va a colmare una nicchia nella ricerca biomedica dove servono modelli animali di malattie dell’uomo non riproducibili, o addirittura assenti, nel topo da laboratorio. Il maiale, se si esclude la scimmia su cui è sempre più difficile fare ricerca per motivi di sensibilità etica (la Cina è un caso a parte), è l’animale più simile a noi per anatomia, fisiologia, dimensioni. Inoltre, da molti anni già si utilizzano tessuti provenienti dai maiali o dai bovini (si pensi alla protesi valvolari cardiache) che potrebbero essere migliorate con l’ingegneria genetica degli animali da cui si prendono questi tessuti. Si pensi anche alla possibilità di utilizzare, un domani, un rene o un cuore o più facilmente isole pancreatiche - producono insulina - provenienti dal maiale per il trapianto in pazienti umani. Questi scenari sono più vicini di quanto si possa immaginare.

Nell’ambito dell’allevamento animale, c’è richiesta per la clonazione di cavalli sia a scopi competitivi – i cavalli clonati possono partecipare alle olimpiadi già da diversi anni – che per finalità riproduttive. Una parte dei campioni, per esempio, sono spesso castrati in giovane età ed hanno quindi preclusa la carriera da stallone. Si pensi anche ad animali di valore, fattrici, animali morti per incidenti o malattie, per cui la clonazione offre la possibilità di preservare il patrimonio genetico.

Il caso dei bovini, che rientrano più facilmente nella catena alimentare rispetto ai cavalli, è particolarmente rilevante. Tutti i dati pubblicati dalle agenzie preposte alla valutazione del rischio (FDA, EFSA) indicano chiaramente che i prodotti derivati dagli animali “normali” non sono diversi da quelli degli animali clonati, inclusi i prodotti derivati dalla progenie degli stessi.

In Europa esiste una moratoria puramente ideologica contro l’impiego di questi animali per l’allevamento. La situazione è diversa in altre parti del mondo. Nel Nord e Sud America i bovini e suini clonati vengono utilizzati per finalità zootecniche e si stanno sviluppando nuove linee con genoma editato, tramite la tecnologia CRISPR/Cas9, per la resistenza alle malattie – PRRS e Peste Suina Africana, nel suino – così come bovini a cui non crescono le corna – normalmente rimosse con metodi cruenti per questioni di sicurezza e benessere. Anche sul CRISPR/Cas9 l’Europa ha preso una posizione molto conservatrice, però questa è un’altra storia.

© Riproduzione riservata