L’impegno sociale di Ken Loach non passa mai di moda: il regista inglese, classe 1936, torna sulla Croisette (tre anni dopo la conquista della Palma d'oro con «Io, Daniel Blake») con «Sorry We Missed You», film che conferma quanto
il suo cinema riesca a essere sempre attuale e capace di far riflettere.
Al centro della trama c'è una famiglia che fatica a sbarcare il lunario nell'Inghilterra di oggi. Ricky, l'uomo di casa, ha
finalmente l'occasione per migliorare il tenore di vita dei suoi cari, grazie a una proposta inattesa: se la moglie vende
la sua automobile, potrà acquistare un furgone e lavorare come fattorino. La possibilità di incrementare i guadagni sembra
concreta, ma nasceranno una serie di problematiche impreviste.
Già vincitore di due Palme d'oro (nel 2006 per «Il vento che accarezza l'erba», oltre al già citato «Io, Daniel Blake» nel
2016), Ken Loach torna in concorso a Cannes con un film personale e pienamente nelle sue corde.
Come nel precedente «Io, Daniel Blake», il tema del lavoro è al centro della sua opera, anche se in questo caso l'interesse
di Loach sta soprattutto nel descrivere le pesanti difficoltà di una famiglia che fatica a stare unita in una situazione di
crisi (dovuta non soltanto a fattori economici).
La tipica messinscena rigorosa del regista inglese accompagna una sceneggiatura ben scritta dal fidato Paul Laverty (da tanti anni stretto collaboratore di Loach), caratterizzata
da momenti intensi e da dialoghi capaci di colpire nel segno.
«Sorry We Missed You» forse non è uno dei lungometraggi più incisivi della carriera di Loach (a causa di qualche passaggio piuttosto prevedibile),
ma il regista riesce ancora a scuotere e a regalare spunti di riflessione tutt'altro che banali.
In mezzo a una visione tanto drammatica, trova anche spazio qualche passaggio più ironico che alleggerisce i toni complessivi
della pellicola.
Da segnalare l'ottima prova complessiva di un cast composto prevalentemente da attori alle prime armi.
Non ha certo l'esperienza di Ken Loach, invece, Mati Diop, attrice franco-senegalese che ha presentato in concorso il suo esordio dietro la macchina da presa: «Atlantique».
Ambientato in un sobborgo popolare di Dakar, il film racconta di alcuni operai che, senza stipendio da diversi mesi, decidono
di lasciare il paese attraversando l'oceano in cerca di un futuro migliore. Tra loro c'è Suleiman, amante di Ada, ragazza
adolescente promessa sposa a un altro uomo.
Quello che può risultare a prima vista un dramma sentimentale come tanti, si rivela invece un film ricco di spunti drammaturgici,
che spaziano dal desiderio di fuga dalla povertà africana alle difficili convenzioni a cui deve sottostare una ragazza del
posto.
Nella prima parte della pellicola la messinscena è troppo statica e mancano grandi guizzi, mentre la seconda metà del film è decisamente più spiazzante e intensa, capace di
regalare diversi passaggi sorprendenti e qualche momento emozionante: peccato che la difficoltà a ingranare subito la giusta
marcia e una regia piuttosto acerba non consentano il pieno coinvolgimento che la vicenda avrebbe meritato.
Tra i lungometraggi a cui aveva partecipato Mati Diop come attrice, va ricordata in particolare la sua prima apparizione,
in «35 rhums» di Claire Denis.
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