«Il protagonista de Il traditore non è un eroe, ma è un uomo coraggioso, che rischia la propria vita ma che nello stesso tempo non vuole essere ucciso e difende una sua propria tradizione, la sua vita e quella dei suoi figli. È un traditore un po' conservatore, non pensa di cambiare il mondo, ma vuole difendere il suo passato».
Così Marco Bellocchio racconta sulla Croisette il suo Traditore, unico film italiano in gara alla 72esima edizione del festival del cinema di Cannes, nelle nostre sale da oggi, anche in omaggio all’anniversario della strage di Capaci del 23 maggio 1992, dove morirono Giovanni Falcone e sua moglie, Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
La pellicola è basata sulla figura di Tommaso Buscetta, pentito di mafia, che sfonda la barriera dell'omertà dentro Cosa Nostra,
permettendo di istruire il Maxi-Processo che si tenne a Palermo con 475 imputati.
Sceneggiato dallo stesso Bellocchio con Ludovica Rampoldi, Valia Santella, Francesco Piccolo in collaborazione con Francesco
La Licata, il film inizia con la guerra in corso a Palermo nei primi anni Ottanta tra i clan siciliani per il controllo del
traffico di droga.
In quegli anni Tommaso Buscetta, interpretato da un eccellente Pierfrancesco Favino, si è già trasferito in Brasile, dove funge da tramite con l’Italia per lo smercio di sostanze stupefacenti dall’America Latina, facendole passare da Palermo. Per questo è conosciuto come il “Boss dei due mondi”. Ma la guerra efferata in corso nella sua città lo raggiunge anche a Rio de Janeiro, dove abita, e dove ha una nuova famiglia.
Mentre riceve la notizia della morte dei figli di primo letto rimasti a Palermo e del fratello, avverte di essere braccato.
Ma prima dei sicari arriva la polizia brasiliana che lo arresta e lo estrada in Italia.
«Avevamo la preoccupazione di fare un film non convenzionale, e allo stesso popolare. Dovevamo rappresentare tutti questi
delitti e abbiamo dovuto fare una sintesi», ha sottolineato Bellocchio.
Un lavoro di scrittura durato due anni, che comprende venti anni di biografia di Buscetta, basata su tre assi portanti: il
tradimento, la teatralità e il rapporto padre- figli. I ragazzi di Buscetta rimasti a Palermo, come molti figli dei mafiosi, erano eroinomani e delinquenti.
Una figura, quella di Masino, così lo chiamano i compaesani, carismatica, nonostante l’ignoranza, priva della spinta di emancipazione che avevano avuto alcuni membri di Cosa Nostra. La pellicola analizza soprattutto il profilo psicologico del protagonista, sulla scia di Buongiorno notte (2003) sul rapimento del leader della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, da parte delle Brigate Rosse.
«È un soggetto totalmente estraneo alla mia vita – ha sottolineato il regista parlando di Buscetta-, verso cui mi ha spinto
l'interesse del produttore Beppe Caschetto-. Io sono cresciuto a Piacenza, lontano da Palermo e dai suoi assassinii».
Favino passa con grande abilità dal portoghese al siciliano, all’italiano parlato con un accento che risente della sua prolungata
permanenza in Brasile. Un personaggio tragico da cui l’attore prende le distanze.
«Buscetta era figlio di un vetraio, e il primo tradimento l’ha perpetrato verso le sue origini, affiliandosi a Cosa Nostra
- ha raccontato Favino-. Per entrare nella mafia bisogna dimostrare il proprio coraggio uccidendo qualcuno. Lui ha scelto.
Non si sa mai dove finisce il mito e inizia la verità. Un mito di cui lui era molto contento. Io condivido con lui un certo
romanticismo, idealismo, amore della famiglia. Tutto quello che sappiamo di Buscetta è quello che ha scelto lui di dire. Se
io sto a quello che ha dichiarato Buscetta, lui non ha mai trafficato droga».
Buscetta, estradato in Italia, decide di parlare con il giudice Giovanni Falcone (nel film interpretato da Fausto Russo Alesi),
rivelando la struttura delle cosche.
«Non credo all’amicizia con Falcone – ha spiegato l’attore - Credo che Falcone sia stato piuttosto l’unica persona in grado
di manipolarlo, che sia l’incontro con Falcone a cambiare Buscetta».
Favino ha invitato a giudicare il film e a non fare polemiche, sorte sulla scia di una dichiarazione di Giovanni Montinaro,
figlio del caposcorta ucciso nella strage di Capaci, che chiedeva chiarimenti sull’uscita del film in concomitanza con l’anniversario
della strage di Capaci, quasi fosse un’operazione di marketing.
«Il botta e risposta, apparso sul mio profilo instagram, è durato ventidue secondi. Poi ci siamo scritti in privato. Lo capisco,
è una persona cui è stato ucciso il padre. Questa polemica non c’è e non è mai esistita».
Favino per interpretare il pentito è aumentato di otto chili. «Buscetta era molto narciso. È ricorso alla chirurgia plastica già negli anni Settanta, quando non era necessario cambiare i connotati per difendersi, perché non era ancora ricercato in maniera così pressante. Raramente è stata raccontata la ruralità della mafia, di questo gruppo di imprenditori agricoli, con l’aria tozza e il tentativo di sfilarla attraverso i gabardine. Sono ingrassato perché mi serviva il respiro di un uomo più in carne. Se ti cambia il modo di respirare, ti cambia il modo di guardare gli altri e il modo in cui gli altri guardano te».
Bellocchio nel 1980 con Salto nel vuoto aveva permesso ad Ainuk Aimée e a Michele Piccoli di vincere il premio come migliore interprete femminile e maschile. Anche Favino si meriterebbe un riconoscimento all’altezza della sua interpretazione.
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