Un film privo di compromessi sta facendo discutere il pubblico e la critica al Festival di Cannes: si tratta di «Mektoub, My Love: Intermezzo» di Abdellatif Kechiche, seguito di quel «Mektoub, My Love: Canto uno» che il regista franco-tunisino aveva presentato alla Mostra di Venezia 2017.
Si riparte esattamente da dove si era concluso il film precedente, con il giovane Amin (personaggio fortemente autobiografico,
che sogna di diventare un artista) che fotografa il corpo della bella Charlotte.
Siamo al termine dell'estate del 1994 e in spiaggia il gruppo di amici, già protagonista del primo film, accoglie una nuova
arrivata, che susciterà i desideri di molti.
Come sempre, il regista che aveva vinto a Cannes la Palma d'oro nel 2013 con lo splendido «La vita di Adele» filma sequenze interminabili (in discoteca soprattutto), che possono infastidire lo spettatore, anche a causa della circa
tre ore e mezza di durata.
Kechiche, però, conferma la sua grandezza nel riuscire a riprendere il flusso della vita come pochi altri autori contemporanei
e, a costo di avere un po' di pazienza, riesce a far entrare chi guarda all'interno dell'azione, facendolo partecipe delle
discussioni e delle danze che muovono i corpi dei protagonisti.
Una lunga scena hard di circa dodici minuti ha dato scandalo, ma più che sull'aspetto erotico della sequenza, la riflessione
si concentra attorno alla disperazione del momento, in un passaggio narrativo decisamente più drammatico che eccitante.
Quello che rimane di questo potente “intermezzo” è soprattutto una sensazione malinconica, simboleggiata proprio dalla fine
dell'estate, ma anche dalle tante speranze di un gruppo di ragazzi che devono prepararsi al mondo degli adulti, oltreché delle
sofferenze di un gruppo di adulti che, invece, vorrebbero rimanere ragazzi per sempre.
Al protagonista Amin è ancora affidato il ruolo di osservatore, come fosse un regista interno alla pellicola che scruta i corpi e i volti che
si muovono freneticamente attorno a lui. Una dinamicità resa efficacemente da una cinepresa dotata di uno stile vibrante e
vitale, che cerca sempre di cogliere quali emozioni si nascondano nell'animo dei numerosi personaggi in scena.
C'è spazio anche per qualche riflessione profonda e di grande tristezza, in una pellicola che racconta sì la gioia di vivere,
ma che tra le pieghe del racconto porta con sé una nostalgia sempre più tangibile col passare dei minuti.
Difficilmente troverà un posto nel palmarès, soprattutto per la sua natura sperimentale e quasi anti-narrativa, ma è un esempio
di film importante e personalissimo, ulteriore tassello di quel mosaico unico e fondamentale che è il cinema di Abdellatif
Kechiche.
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