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La presunzione di essere diversi, la presunzione di «dire no»

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La presunzione di essere diversi, la presunzione di «dire no»

Io e Bruno Guida, protagonista di Presunzione di Luca Mercadante (in libreria per Minimum Fax) , abbiamo molto in comune, o meglio abbiamo avuto molto in comune: adolescenza trascorsa in una provincia del Sud Italia, desiderio di fuga, bisogno di emancipazione, passione nello studio. Questo potrebbe spiegare perché cominciata la lettura di Presunzione, menzione del Premio Calvino, le pagine sono andate via una dopo l’altra fino alla fine senza esitazione. In realtà forse più che l’empatia a spiegare il coinvolgimento è la capacità di Mercadante di tenere la sua scrittura in perfetto equilibrio tra ritmo e approfondimento, ironia e dolore.

La struttura è compatta, la trama solida, ma ciò che rende queste pagine assai coinvolgenti è lo sguardo di Bruno che poi è evidentemente quello di Luca (l’autore ad esempio a un certo punto si concede anche un divertimento, durante una manifestazione anticamorra Bruno trova il portafogli di un certo Luca Mercadante: «Nel mio andirivieni dalla testa alla coda del corteo, non trovai i miei genitori, ma calpestai e raccolsi un portafogli: qualche soldo, la tessera di un laboratorio teatrale di Napoli, la carta d’identità. Chi lo aveva perso era un ragazzo nato nel mio stesso giorno, lo stesso anno: Luca Mercadante. A guardare la foto sui documenti nessuno avrebbe potuto negare che ci assomigliassimo. Il mio alter ego era uno dei cittadini accorsi per l'evento!»).

Bruno osserva il mondo a cui appartiene con il distacco di chi non se ne sente parte; tuttavia questo distacco non diventa mai altezzosità. Bruno odia il suo paese, e per questo fa di tutto per andare a studiare a Caserta, l’allontamento però non diventa rifiuto e rigetto. Tenta la strada della trasformazione. Non vuole esserci eppure accetta di battersi. Finge l’impegno ma in realtà finisce per agire e agisce per centrare la forma più alta dell’impegno sociale quella del disvelamento dei camuffamenti, degli inganni. Bruno osserva con fastidio la sua famiglia eppure lotta fino alla fine per salvarla.

Bruno ha appena superato la visita militare, sta cominciando il suo ultimo anno di liceo, quando suo zio, il fratello gemello di suo padre, scompare. In poco tempo questa scomparsa viene accreditata come un omicidio e lo zio Piero come una vittima della camorra. Piero, eccentrico nullafacente, un po’ votato al volontariato in una poco chiara ong, ribelle accudito dalla sicurezze economiche prodotte dal fratello, è in sostanza un bluff, forse anche un simpatico bluff ma pur sempre un bluff. E il primo a capirlo è proprio Bruno che nella comprensione dell’identità dello zio supera l’adolescenza. La crescita di Bruno, il superamento dell’infanzia verso l’età adulta coincide con la scoperta. Si diventa adulti perché si ha il coraggio di guardare e di affondare l’analisi.

La vita ma soprattutto la morte di Piero producono un inganno che travolgono il padre di Bruno. Ma non solo: un’intera comunità accetta la narrazione più facile e più comoda. Fino alla scoperta del cadavere di Piero che spinge la narrazione verso un finale inatteso. Mercadante svela con abilità la macchina mostruosa che crea i falsi eroi e i falsi miti. E al tempo stesso non perde mai di vista ciò che è carne e sangue del suo personaggio: giovane uomo certo del suo orizzonte e contemporaneamente giovane uomo confuso dal sesso, dall’amore, dall’amicizia.

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