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La vita delle bolle di sapone

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La vita delle bolle di sapone

Eccole: magiche, fragili ed effimere, tonde meraviglie che riescono a strapparci, inevitabilmente, ancora e sempre, un senso di stupore, quella primordiale attitudine al sorriso, alla sorpresa, al desiderio di bellezza che cova, spesso represso, o semplicemente dimenticato, dentro di noi: la rivelazione, ogni volta, che la loro labile poesia – forse la loro essenza –, in fondo, ci appartiene: nel nostro inconscio lo sappiamo, misteriosamente: siamo, noi, simili alle bolle di sapone. Volteggiano in coro, piccole creature nate da un soffio leggero, si muovono mostrando la grazia iridescente e trasparente che le sposta, in balia del refolo d’aria (come nel racconto di Italo Calvino, «Fumo, vento e bolle di sapone», quando Marcovaldo è l’unico preoccupato nel vederne migliaia, mentre gli altri operai «che andavano al lavoro si fermavano allegri a guardare questo spettacolo pieno di colori»). E poi, con altrettanta leggiadria a volte s’uniscono, talora si posano, e subito, però, pof!, si rompono e scompaiono, in un attimo fatidico. Ma, in quei brevi istanti di “vita”, quanta gioia, forza poetica, quanta arte, e quanta scienza, in quei «grappoli di bolle che si allungano in ghirlande iridate» (ancora Calvino).

E lo testimoniano con forza d’evidenza e garbata eloquenza – se mai ci fosse bisogno – una mostra (che chiude oggi a Perugia, alla Galleria Nazionale dell’Umbria), il relativo, ottimo, catalogo (Bolle di sapone. Forme dell’utopia tra vanitas, arte e scienza, pagg. 192, Silvana Editoriale), e il bel libro che è stato, credo, ispiratore primo dell’esposizione (oltre 25 mila visitatori e meriterebbe di andare, ora, in altri musei), quel Bolle di sapone. Tra arte e matematica di Michele Emmer (Bollati Boringhieri, 2009, pagg. 302, € 60, Premio Viareggio 2010 per la saggistica, pienamente meritato), l’autore che ha rinnovato, per tempo, e con tutta la sua attività scientifica e divulgativa, l’attenzione sulle bolle, prendendole sul serio (per un matematico, come Emmer, le bolle sono tutto fuorché “solo” un gioco da ragazzi), cercando di farci capire quali nascoste doti di bellezza, complessità e ampiezza di campo scientifico esse (com)portino, oltre all’assodata, palese, meravigliosa, “apparenza” estetica.

Libro e mostra ripercorrono la storia visiva, scientifica e filosofica delle bolle, perché le implicazioni delle loro caratteristiche sono, appunto, molteplici. Lo sapevano bene gli artisti: fin dal Cinquecento, con la scuola olandese in prima fila, sono simbolo e metafora della fragilità e, perciò, della caducità delle ambizioni umane, della vita stessa. Bolle di sapone volano, sublime memento, in nature morte che ci ricordano la nostra natura transeunte («Homo Bulla Est»). E se in un dipinto celebre come quello di Chardin forse la cosa più bella (oltre la trasparenza della bolla appena soffiata: una sfida e un pezzo di bravura per i pittori di tutti i tempi) è proprio lo sforzo con il quale il bimbo più giovane si issa per far capolino dalla finestra per non perdersi lo spettacolo, in un’opera come «Quis evadet?» (in mostra con un bulino di Agostino Carracci e un olio di un seguace di de Witt) il putto nudo che soffia bolle è, mestamente, posato su un teschio ben più grande di lui: che non si equivochi su ciò che si rappresenta. E mentre Pelagio Pelagi “intuisce” pittoricamente come Newton abbia carpito da una bolla il segreto della rifrazione della luce, Man Ray ne coglie tutta l’essenza surreale e surrealista (che avrebbe portato poi a Cornell); la pubblicità ne esalta invece la sensazione di purezza, e la sequenza bibliografico-scientifica finale mette in evidenza lo stretto rapporto delle bolle, delle superfici laminate, con le scienze dure, cui Emmer tiene particolarmente. Ma il tema è davvero filosofico, e, paradossalmente, colto ma estremamente popolare, come di rado accade. Alberto Sordi, nel più esilarante e tenero episodio di Accadde al commissariato (1954), nelle vesti (in gonnella!) di un nobile decaduto conciona il popolo in piazza: «Questi sono i nostri tempi, o cittadini!, tempi incerti in cui da un momento all’altro può arrivare il fatto nuovo, sotto forma di bomba, di un marziano, sotto forma di un essere informe. Attàccati, perciò, o cittadino!, all’attimo presente. Attàccati ai tuoi piccoli momenti di libertà e riposo, alle tue illusioni che salgono fino al soffitto della tua dolce casa come variopinte bolle di sapone». Primissimo piano: ora Sordi soffia sulla cannuccia e, occhi semichiusi ed espressione (falsamente) trasognata, produce una bella bolla. Due personaggi del pubblico, accorsi per sentire il presunto comizio, emettono il commento definitivo, quanto mai attuale (anzi, sempre attuale): «Invece dell’aumento delle pensioni, ecco delle bolle di sapone». E quei «momenti di libertà» (ma, anche, il memento cinquecentesco) tornano, sottilmente, nel discorso di ricevimento del Nobel per la fisica 1991 di Pierre-Gilles de Gennes. Per spiegare la materia sottile, per la quale vinse, chiuse citando dei versi. «Amousons-nous. Sur la terre e sur l’onde / Malheureux qui se fait un nom! / Richesses, Honeurs, faux éclat de ce monde / Tout n’est que boules de savon». (Divertiamoci, sulla terra e sul mare / infelice chi diventa famoso / Ricchezze, onori, falsi splendori di questo mondo / tutto non è che bolle di sapone»). Vengono da un’incisione di Daullé; a sua volta tratta da un dipinto del più celebre François Boucher, «La Souffleuse». Dipinto, ironia della sorte, andato perduto, dissoltosi nella polvere della storia dopo un’effimera – ma ricca di conseguenze, fino a noi – esistenza. Ecco, appunto. Pof!

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