Anche gli ultimi severi cultori di Karl Marx, dovranno farsene una ragione. O accettarla come una delle tante contraddizioni della storia e del pensiero filosofico. Se
costoro vanno a Londra, la città in cui l'autore del “Manifesto del Partito Comunista” visse dal 1849 al 1883, avranno infatti una sorpresa straniante.
Da far vacillare il più fedele ammiratore del filosofo tedesco.
Ebbene, dove c'era la casa di Marx, un misero tugurio senza acqua al 28 di Dean Street, ora si incontrano miliardari sfaccendati, rampanti agenti di borsa, celebri archistar che hanno piacere di frequentarsi
in un’esclusiva dining room certo poco incline ad accogliere i nuovi proletari di tutto il mondo, orfani perfino delle loro
antiche catene.
Bisogna stare attenti ad addentrarsi nei luoghi del pensiero. Si possono avere tante sorprese. Alcune gradite, altre meno. A seconda dei gusti e delle aspettative. Più o meno nello stesso
periodo di Marx (tanto squattrinato da farsi pignorare anche la culla del quarto figlio), vive e medita a 17 miglia a sud
est di Londra, un altro gigante del pensiero, Charles Darwin, il geniale naturalista dell’Origine della specie.
Anche lui è un eversore dell’ordine costituito, ma, a differenza di Marx, il suo problema non è tanto come trovare i soldi
per vivere, ma come spenderli. Il padre dell’Evoluzionismo vive infatti in una enorme proprietà a Down House nel Kent tenuta in ordine da 16 tra domestici e giardinieri. Un tenore di vita da miliardario che però non lo distrae dai suoi studi.
Verso mezzogiorno, quasi ogni giorno, Darwin passeggia in giardino lungo un sentiero sabbioso che stimola le sue riflessioni portandolo col pensiero in uno dei suoi famosi viaggi in Africa. In questa casa principesca lo scienziato inglese studia e alleva i piccioni finendo col litigare con la moglie, la povera Emma, poco disposta, in nome della scienza, a sopportare quel selvaggio del marito che, dopo aver spennato i piccioni, li fa bollire in cucina lasciando un tanfo terribile.
Uno è il padre della Rivoluzione, l'altro il padre dell'Evoluzione. «Marx sigilla il termine finale del tempo e della storia. Darwin, invece, ha bisogno che il tempo non finisca. Non aspira ad alcuna salvezza né di classe né di genere, osserva semplicemente quel che accaduto per ricavarne una descrizione che confermi come sono andate le cose», precisa Paolo Pagani, autore del libro (I luoghi del pensiero, sottotitolo: Dove sono nate le idee che hanno cambiato il mondo, editore Neri Pozza, euro 13,50) il cui titolo illustra alla lettera l’obiettivo dell'opera. «Il mio non è un libro di filosofia», spiega Pagani, caporedattore a Sky dopo un lungo viaggio nei quotidiani cartacei e digitali. «Il mio libro parla soprattutto di filosofi. E molto delle loro vite. Dei luoghi e delle case che hanno abitato». Un reportage sentimentale, ribadisce l'autore, «alla ricerca di quei pensieri che potevano essere concepiti solo lì, dove sono materialmente nati. Perché c'è un'aura in ogni luogo, un linguaggio non detto che si impara ad ascoltare…».
A proposito di spirito di un luogo, tornando a Londra e dintorni (Sussex) non si può dimenticare, in questo incrocio di cervelli, il guru della teoria economica, quel John Maynard Keynes passato alla storia, oltre che come rivoluzionario sostenitore dell’incremento della spesa pubblica nei periodi di disoccupazione,
anche per i suoi corrosivi aforismi. «Mi chiedete le previsioni per il lungo periodo? Nel lungo periodo - concludeva Maynard
smangiucchiando una tartina- saremo tutti morti…».
Eterno pendolare tra Cambridge e lo storico quartiere di Bloomsbury, frequentatore di un ristretto cenacolo di scapigliati
intellettuali come Bertrand Russel e Virginia Woolf, Keynes allaccia strettamente l’economia alla morale. Ma diffida di Karl
Marx, che proprio non sopporta: «Ho provato sinceramente a leggere i suoi volumi - scrive al collega Piero Sraffa nel 1932
- ma ti giuro che non sono riuscito a trovare una sola frase che abbia interesse per un essere umano dotato di ragione…».
Tagliente ma anche profetico quando, come rappresentante del Tesoro britannico alla conferenza dei vincitori a Versailles
nel 1919, mette in guardia sui pericoli di un accanimento contro la Germania uscita distrutta dalla Grande Guerra. Aveva ragione
Keynes.
È un viaggio, quello di Pagani, che comincia nel Seicento olandese, con il modernissimo ma incompreso Baruch Spinoza ad Amsterdam, risalendo tempo e spazio per arrivare fino al Novecento con Thomas Mann, esule in California dal nazismo.
In mezzo si trovano alcuni dei grandi protagonisti, nel bene e nel male, della cultura e del pensiero. Dal filosofo francese
Renè Descartes, anche lui trasferitosi nella tollerante e stimolante Amsterdam di Spinoza, al geniale Isaac Newton, che nel frutteto della sua tenuta di campagna inglese, nel 1666, inventa la fisica moderna dopo un incontro ravvicinato
con la famosa mela che gli cade in testa mentre riposa sotto un albero. I geni sono fatti così: anche quando dormono, hanno
un'intuizione che modifica la storia della scienza.
Ma anche qui c’è una storia nella storia. Il famoso albero, quello da cui cade la mela, si trova a Woolsthorpe Manon, a sette miglia da Grantham, la città natale di Margaret Thatcher, la Lady di ferro dei (non) mitici anni Ottanta. Beh, quell’albero
nel 1820 viene abbattuto da un tremendo fulmine che lo spacca in mille pezzi. Ma ecco il miracolo: le sue radici, miracolosamente
vive, lo fanno rinascere a nuova vita, tanto che lo si può ammirare anche ai giorni nostri.
In questo libro, come quando si va per sentieri di montagna, bisogna salire e scendere; imboccare un viottolo laterale, fermarsi
ad ammirare il panorama, e riprendere la strada maestra. I cartelli ci sono: viene anzi fornita, a supporto, una mappa dettagliatissima
per invogliarci a fare, a nostra volta, una passeggiata in quei posti da cui è scaturita la scintilla del pensiero.
Un itinerario intrigante, a portata di weekend, è proprio quello che Thomas Mann, in fuga dalla Germania di Hitler, compie in Svizzera: in particolare nei dintorni di Zurigo dove lo scrittore tedesco risiede diversi anni prima di trovare riposo nel camposanto di Kilchberg. In questi tenui squarci
di lago, in queste sontuose ville dai giardini eleganti, raggiungibili dall'imbarcadero che porta anche al Grand Hotel Baur
au Lac (prima tappa della luna di miele dei coniugi Mann), si respira tutto il clima di un'epoca che verrà poi spazzata via
dal rombo dei cannoni.
Spostandoci lievemente, ma restando negli anni tra le due guerre, si trova il capitolo dedicato al filosofo Martin Heidegger, un altro discusso pensatore che con le sue idee, spesso in simbiosi con quelle naziste, fu protagonista della sua epoca, sovrapponendo in una identità
quasi perfetta vita e pensiero.
«È uno dei criteri con cui ho legato assieme queste figure», spiega l’autore. «Una scelta del tutto personale che mi ha permesso
di accostare profili diversi ma tutti accomunati da una identica cifra: la discontinuità con la tradizione. Scatti del pensiero
che hanno modificato la nostra visione del mondo».
A dare più luce al ritratto di Heidgger, c'è anche la sua tormentata storia d'amore con la studentessa Hannah Arendt. Il professore, nonostante fosse sposato, prese una imbarcata colossale per questa intraprendente ragazza che, pur ebrea, lo ricambiò per diversi anni. La coppia, presa dalla passione, si incontra nei posti più disparati. Una volta alla fermata del tram, un’altra in una panchina segnata col gessetto del parco di Marburgo. L'unico posto dove la ragazza non lo incontrò fu a Todnauberg, nella baita personale del filosofo. Un magnifico rifugio nella Foresta Nera riservato alle meditazione o a confronti meno passionali. «Un posto perfetto per piazzare una mitragliatrice», commentò con scarso romanticismo Ernest Junger, scrittore bellico più amante dei cannoni che dei fiori.
Tra Seicento e Novecento, tra la California e il Vecchio Continente, il viaggio continua seguendo personali gusti e passioni dell’autore. Lapidi, targhe, cimiteri, musei. E poi anfratti selvaggi, come i fiordi norvegesi o le scogliere irlandesi in cui si rifugia Ludwig Wittgenstein, il filosofo della logica moderna che, a Linz, era stato compagno di scuola proprio di Adolf Hitler, già roso dell’invidia per quel brillante talento di una importante famiglia ebraica viennese. Era un solitario, anche irascibile questo Ludwig: un genio originale dalle passioni più disparate (maestro, scultore, architetto e quant'altro) che poco amava il confronto con i suoi pari, preferendo il silenzio della natura, un silenzio che il nostro filosofo interpretava naturalmente come assenso.
Si parla anche di cucina, di come e di quanto si mangiava. Wittegenstein andava matto (è il caso di dirlo) per le omelette. Il maestro del linguaggio aritmetico binario (formato soltanto da zeri e da uno), che precorre gli algoritmi del mondo digitale, Gottfried Wilhelm Leibniz, per ben figurare alle corti dei nobili, e farsi invitare anche la volta successiva, lascia quasi tutto sul piatto. Cosa che Marx non avrebbe mai fatto. Poi ci sono le case, un altro filo rosso che lega le vite di queste giganti. Anche quelle che non ci sono più, come quella di Baruch Spinoza, umile molatore di lenti ebreo, scomunicato dalla sua stessa comunità per aver predicato cose che “era meglio non dire…”.
Ecco con Baruch Spinoza ritorniamo all’inizio del viaggio. Umile ma profondo allo stesso tempo, poco “mediatico” come si direbbe oggi, «Spinoza è un fondatore della modernità», precisa Pagani. «Un pensatore che ribadisce la necessità di una democrazia libera dai dogmi ideologici e religiosi». Come tutti i grandi, concludiamo, fu poco capito. E anche oggi, tra un tweet e l’altro, farebbe fatica a spiegarsi.
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