Cultura

È peggio chi traffica uomini o chi li lascia morire?

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francesca mannocchi / Io Khaled vendo uomini e sono innocente

È peggio chi traffica uomini o chi li lascia morire?

Io Khaled vendo uomini e sono innocente: la prima cosa che ci si chiede, prendendo in mano il racconto di Francesca Mannocchi, è fino a che punto il titolo sia una provocazione. Non è d’aiuto la copertina: ritrae un uomo che si tappa gli occhi. È Khaled? Forse. E se fossimo noi? Il dubbio si insinua fin dai primi capitoli che descrivono il regime di violenza e intimidazione della dittatura di Gheddafi, la rivoluzione e il suo degenerare nella guerriglia tra le milizie, con i migranti vittime collaterali di un traffico che prima arricchiva i fedeli al rais, poi viene usato per finanziare i ribelli che in seguito, fallita la costituzione di uno Stato, si trasformano in signori della guerra. Dove non c’è giustizia, chi vuole sopravvivere ha interesse a essere il più forte.

Si capisce rapidamente che il gioco dell’autrice è più sottile di una difesa manichea e relativista. Che forse la sua non è affatto una difesa. La domanda su chi sia l’uomo con le mani sugli occhi resta aperta per tutte le duecento pagine in cui la giornalista e regista - vincitrice del premio Giustolisi e del Premiolino per un’inchiesta sul traffico dei migranti e sulle carceri libiche - ci sprofonda nella violenza del Paese, di oggi e di ieri, con competenza e intelligenza, mettendoci di fronte a una realtà stratificata e intricata, nella quale oltretutto l’Italia ha grandi responsabilità. Una realtà che chi vuole giudicare non può non conoscere.

Non c’è scritto che la vicenda di Khaled, verosimile e documentata, è vera. Ma questa prosa narrativa, che non chiameremmo romanzo, nasce dall’urgenza di capire e di raccontare: la passione che tiene insieme la storia è la consapevolezza che a volte testimoniare, e ascoltare, può essere l’unico modo per rendere un po’ di giustizia (una revisione più attenta nel limare piccoli eccessi retorici o incongruenze avrebbe migliorato ulteriormente l’esito).

«So che ho bisogno di rimanere forte, ho visto cosa fanno ai deboli» dice Khaled nel lungo monologo che dà struttura al libro. Il trafficante di uomini il potere lo ha conquistato. È un ex rivoluzionario. Cresciuto in una scuola dove sul muro era scritto «chiunque formi un partito politico è un traditore»; in un Paese in cui non si trovava «alcun rivoluzionario fuori dai comitati rivoluzionari» e che metteva continuamente in pratica il detto beduino: «se hai una borsa di topi e vuoi impedire ai roditori di scappare, devi continuare a scuotere la borsa».

Il padre ha denunciato un amico per mostrare la sua fedeltà al regime. Il nonno parlava per enigmi: chi criticava Gheddafi spariva, si trovava un colpo in testa o era giustiziato in diretta tv. Enigmi non troppo facili da risolvere: il nipote avrebbe dovuto capirli solo dopo aver imparato a tenere la bocca chiusa.

Khaled è un adolescente che si è ribellato prendendo le armi col fratello Murad, alla cui memoria spesso si rivolge nella sua autoapologia: «Te lo ricordi quando vedevamo i carri armati avvicinarsi e noi ragazzi ridevamo come qualcuno che perde la testa, cadendo sulle ginocchia faccia a terra. Ridevamo perché avevamo paura di morire, Murad (…). E in quei momenti avevo la sensazione che noi ragazzi non c’entrassimo niente in quella linea di fuoco». Khaled non accetta critiche da suo padre perché «Tu hai vissuto accettando la paura e sei diventato complice di quella paura».

Nel racconto del trafficante l’orrore della guerra s’accavalla a quello della tratta. Con una lingua asciutta e violenta, e forse anche per questo capace di restituire lo strazio dei fatti evocati, racconta dei migranti truffati, picchiati, schiavizzati, comprati e imprigionati durante il percorso, finché le famiglie nei Paesi d’origine non mandano altri soldi, delle donne e delle bambine stuprate, dei ragazzini lasciati morire nel deserto, dei bambini annegati. «Io sono la sola cosa legale di questo Paese. Prendo ciò che è mio, pago a tutti la loro parte» afferma Khaled. Mannocchi non ci convincerà che il trafficante è innocente. Ma ci convincerà che non lo siamo neppure noi.

Io Khaled vendo uomini e sono innocente

Francesca Mannocchi

Einaudi, Torino, pagg. 196, € 17

© Riproduzione riservata


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