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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2010 alle ore 14:38.

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L'ultima copia cartacea del New York Times sarà comprata, secondo una recente profezia, nel 2043. E l'ultima del Sole 24 Ore?
«Guardate, oggi il problema non è: come salvare i giornali di carta. Ma come salviamo, su internet, l'autorevolezza, il rigore e il prestigio del giornalismo professionale in mezzo all'ignorantismo e al qualunquismo di milioni di fonti di informazione. Se non vogliamo avere una società governata da Google e Wikipedia e sotto di loro un nugolo di bloghettini letti da te, da me e dai nostri amici, ci vuole un giornalismo professionale, senza il quale non c'è democrazia, come insegna Habermas. Negli anni 70, come sindacato dei giornalisti, vincemmo una battaglia sulla trasparenza della proprietà dei media: ecco, come si pubblicano ogni anno i bilanci delle aziende editoriali dei quotidiani, voglio la stessa trasparenza sui grandi siti che governano l'informazione on line: chi è il padrone? Se fa profitti, devo sapere chi c'è dietro».

Il vostro sito ha avuto un boom, meritato: l'on-line diventerà un vero business, alternativo o complementare alla carta?
«Il Sole 24 Ore ricava già oggi 3 milioni all'anno solo grazie alla nostra banca dati normativa. Il business c'è già: l'importante è entrarci con gioia, non con angoscia».

Ora siete anche sull'I-pad: lei lo usa già?
«Gianni Riotta non è un utente, è un professionista. Noi abbiamo cominciato a lavorarci quand'era ancora in fase sperimentale. Mentre tutti stavano a chiacchierare, con Umberto Eco abbiamo fatto Golem nel ‘96. Così come sono stato il primo giornalista ad aggiungere l'indirizzo e-mail alla mia firma. E sono stato il primo ad aprire, e poi anche a chiudere un blog, quando è diventato solo una polemica continua. Lo riaprirò, ma per un' internet diversa, trasparente, aperta, dove si discute e non ci si azzanna. Così come al Tg1 ho portato You tube, e col "Tg1 sei tu" ho dato la possibilità alla gente di usare il più autorevole tg italiano per mandarci i loro video».

Sull'I-pad da oggi mettete - iniziativa encomiabile - il testo integrale della Divina commedia: che cosa ci può insegnare?

«Che c'è un link tra passato, presente e futuro, che l'I-pad non è un gadget per ragazzini, ma una roba che si possono prendere i professori e portarlo al liceo e lavorarci».
Era più complicato dirigere il Tg1?
«È tutto bellissimo: sono stato molto fortunato, mi sono sempre divertito, ho imparato una cosa al giorno, al Tg1 e al Sole 24 Ore. Alla mia età imparare è bellissimo».

Ha avuto ragione la Busi a dimettersi dal video contro la linea Minzolini?
«Non commento mai le cose che ho lasciato. Nessun predecessore o successore avrà l'aggravio del mio giudizio, anche se non sempre io ho goduto di eguale par condicio. Ma sono uno sportivo: auguro al Tg1 il miglior successo».

A Trento una delle star sarà Milena Gabanelli: una, 10, 100 Gabanelli o ne basta una?
«Milena è una vecchia amica, l'ho portata io a collaborare al Corriere della Sera. Cento Gabanelli non servono perché ce n'è già una. L'importante è darle il giusto spazio. Naturalmente anche a lei il consiglio per tutti: equanimità, equanimità, equanimità, equanimità, equanimità, equanimità».

In ogni Paese ci sono tanti e diversi giornalismi, non uno solo: ma c'è qualcosa che dobbiamo ancora imparare dagli americani?
«Tante cose, ma soprattutto l'equanimità».

Martedì sera a Ballarò Tremonti ha detto che se Floris prende 400mila euro l'anno dalla Rai è troppo. Floris ha risposto che con un solo spot la Rai paga il suo stipendio. Ha ragione Tremonti o Floris? Esiste un problema di limiti alle remunerazioni degli anchormen?
«Esiste soltanto il mercato. Quello di Floris non è un compenso scandaloso. Io sono stato il primo direttore di Tg1 ad accettare che il tg partisse con uno spot. Nessuno aveva avuto il coraggio di partire alla pari col Tg5, e per quasi 3 anni abbiamo sempre vinto, tutte le sere con tutte le edizioni (quando sono arrivato perdevamo in tutto il Nord e quando me ne sono andato solo in Piemonte e in Lombardia). Bene, con quello spot, che valeva 200mila euro a serata, il mio stipendio si pagava in niente e in 10 settimane - solo con quello spot - si pagava l'intero bilancio del Tg1. E le altre 42 settimane dell'anno tutti gli spot andavano nelle casse dell'azienda. Forse Tremonti si occupi piuttosto delle pensioni di quei parlamentari che dopo neanche una legislatura intera prendono 3500 euro al mese, quanto 3 o 4 operai prendono insieme dopo una vita in catena di montaggio».

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