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Economia Politica economica

Islanda nell'Ue? Londra minaccia il blocco del negoziato se l'isola non rimborsa 2,3 miliardi

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2010 alle ore 11:08.

L'Islanda nell'Unione europea? I capi di governo dei 27 paesi dell'area hanno dato l'ok all'apertura dei negoziati. Ma nel cammino che potrebbe portare l'isola nell'Ue ci sono, almeno, due ostacoli da superare. A cominciare dalla frizione con la Gran Bretagna che - secondo quanto pubblicato sul The Guardian - potrebbe bloccare i negoziati di adesione se il governo Reykjavik non rimborserà i 2,3 miliardi di euro anticipati da Londra per indennizzare i correntisti della banca islandese Icesave, fallita a causa della crisi finanziaria del 2008, coinvolgendo anche 400mila risparmiatori inglesi e britannici.

Un punto sul quale il governo britannico, reduce dal primo successo in Europa del neo premier Cameron sul versante dei bilanci pubblici, ha voluto da subito porre i paletti: «Non creeremo ostacoli per l'apertura del processo di adesione, ma vogliamo mettere in chiaro fin dall'inizio che l'Islanda dovrà riconoscere i suoi obblighi legali e finanziari», ha affermato il ministro degli Esteri William Hgaue, prima che ieri, giovedì, il vertice dei capi di Stato e di governo dell'Unione europea desse via libera all'apertura dei negoziati.

L'Islanda si oppone al risarcimento. Un problema, questo non di poco conto. Gran Bretagna e Olanda hanno infatti anticipato gli indennizzi per i loro 400mila correntisti danneggiati dal fallimento, ma lo scorso marzo gli elettori islandesi hanno respinto a larghissima maggioranza in un referendum l'accordo proposto. Secondo il 93,5% dei cittadini islandesi (la percentuale che ha votato no) le condizioni del negoziato - che prevedeva un rimborso totale entro il 2024 dei 3,9 miliardi di euro erogati da Londra e L'Aja per indennizzare i loro risparmatori (in pratica 100 euro al mese per 14 anni per ogni abitante dell'Islanda) - erano insostenibili. Il messaggio inviato dai cittadini - intervistati in molti il 7 marzo, giorno del referenudm, è stato molto chiaro. «Vogliamo pagare i nostri debiti, ma solo il giusto: la quota della garanzia sui depositi». «Erano debiti di una banca privata».

Reykjavik ha così dovuto chiedere l'aiuto del Fondo monetario internazionale (Fmi), dopo che l'Associazione Europa per il Libero Scambio (Aele) aveva aperto una procedura di infrazione: di fatto, il testo approvato dall'Ue menziona l'obbligo per l'Islanda di fare fonte ai propri doveri finanziari.

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Cittadini contrari all'adesione. Paradossalmente, però, le difficoltà maggiori per l'adesione dell'Islanda nell'Unione europea potrebbero arrivare proprio dal fronte interno, dal voto popolare. Secondo un recente sondaggio il 57% è difatti contrario all'ingresso dell'Islanda nell'Ue, avendo dichiarato di essere favorevole al ritiro della candidatura dell'isola. Un responso che a questo punto non rende così scontato l'esito del referendum con il quale i 300mila elettori islandesi verranno consultati al termine dei negoziati.

Gli altri nodi da sciogliere. Un altro, possibile scoglio nei colloqui è quello dell'accesso dei pescatori dell'Ue alle zone di esclusiva competenza islandese; Reykjavik inoltre vuole che si tenga conto delle specificità del clima poco favorevole all'agricoltura, mentre appaiono lontane anche le posizioni sulla caccia alle balene, alla quale Bruxelles è contraria ma che gli islandesi vorrebbero far riconoscere come pratica tradizionale.

Se riuscirà a risolvere questi problemi, il cammino europeo dell'Islanda non dovrebbe rivelarsi troppo accidentato: di fatto, Reykjavik fa parte già da quindici anni dello spazio economico europeo, ed è paese firmatario del Trattato di Schengen, oltre ad applicare circa i tre quarti delle leggi europee ritenute necessarie per un'adesione; la speranza islandese è soprattutto quella di un rapido ingresso nell'Eurozona, dopo il crollo della corona provocata dalla crisi.

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