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Una vivacità disordinata da governare

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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2010 alle ore 15:55.

Conosciuta soprattutto per la grande reggia, Caserta è oggi la punta nord di una grande area metropolitana, porta mediterranea del Mezzogiorno che ha in Napoli il suo perno metropolitano e in Salerno l'accesso verso sud. Caserta è nodo di un sistema urbano, la città infinita napoletana, la cui dinamica complessa va colta andando oltre le secche dell'eterna questione meridionale.

Il grande vulcano alle sue spalle fa da spartiacque tra due assi urbani e socio-economici dai destini intrecciati. Verso nord, sull'asse Napoli-Caserta, si distende una città che a partire dai processi di deindustrializzazione dei grandi insediamenti napoletani, nel corso degli ultimi vent'anni ha vissuto una modernizzazione senza sviluppo. Fatta di urbanizzazione non pianificata, alimentata da un tessuto imprenditoriale vivace (tra il 2003 e il 2009 nel casertano è cresciuto dell'11,5%), ma a bassa intensità competitiva. Intrecciando economia sommersa, casi imprenditoriali di successo, distretti mediocri del made in Italy dove spesso la crescita è stata realizzata inabissandosi nel gorgo dell'informale. Come nella vicina Napoli, il dinamismo demografico è il potenziale punto di forza del territorio con una popolazione che è la seconda più giovane d'Italia. Ma rimane un'economia leggera, che "non morde", composta al 70% di imprese agricole (di qualità, ma di cui oltre il 90% individuali), piccolo commercio ed edilizia. Un'economia che, proprio perché leggera, ha accusato da subito l'impatto con la crisi, perdendo già a fine 2008 quasi cinque punti di Pil provinciale. Con una dotazione di beni culturali di tutto rispetto (dalla Reggia borbonica all'accoppiata Pompei-Ercolano, il più vasto e visitato parco a tema archeologico del mondo), ma con un'offerta turistica al 98° posto nazionale.

Caserta è un microcosmo istruttivo, perché capiamo come, a fronte del successo del "modello Caserta" sul piano del controllo statale del territorio, il vero nodo sta in un modello di modernizzazione che nell'inefficienza dei servizi collettivi, nella scarsa offerta di beni competitivi, nella mancanza di una governance dell'area vasta metropolitana ha il suo buco nero. È a partire da questa frattura che la capacità di Gomorra di mediare identità e interessi è cresciuta, cavalcando il lato oscuro di quelle reti lunghe della globalizzazione che anche per la città legale rappresentano ormai lo spazio di competizione imprescindibile. E dunque il disordine dell'asse Caserta-Napoli diventa emblematico di una nuova questione meridionale in cui sarà strategica la capacità delle élite metropolitane di produrre strategie d'area vasta funzionali all'intera macro-regione del Mezzogiorno.

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Per assumere questa funzione di "piattaforma-snodo" la città infinita partenopea ha bisogno di contaminare il proprio "disordine" con le reti e le risorse di governance del suo polo meridionale, una Salerno che da alcuni anni sta tentando di tracciare il suo spazio di posizione in un Mediterraneo che si vuole potenziale luogo strategico per le navi dell'Estremo Oriente. Penso sia ormai maturo il tempo di un dibattito regionale che esplicitamente coordini le ambizioni marinare salernitane con il potenziale caotico ma vitale di Napoli.
Dopo la fine dell'industrialismo dall'alto e la crisi un po' ingloriosa delle politiche sociali e culturali del "rinascimento napoletano", oggi l'alternativa che la città infinita partenopea si trova di fronte è tra un destino di "brasilianizzazione" della città con la definitiva convivenza funzionale dei grattacieli del centro direzionale e un'immensa periferia degradata o semidegradata, oppure la ricostruzione di una base produttiva e di un mercato del lavoro che nello sviluppo di un moderno capitalismo delle reti capace di connettere le piattaforme territoriali del Mezzogiorno con i flussi globali può trovare risorse e forza per tenere unita la città.

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