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Economia Lavoro

Parentopoli, clientele e raccomandazioni: solo così c'è lavoro e i giovani laureati fuggono dall'Italia

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2011 alle ore 13:50.

Il talento e il merito contano poco per avere un posto di lavoro in Italia: ecco semplicemente "perché i laureati italiani non vedono l'ora di emigrare". L'Economist in edicola oggi si occupa della fuga dei cervelli dal Belpaese mettendo il dito nella piaga: l'accesso al lavoro dipende da legami familiari, clientele politiche e raccomandazioni. Un "modo italiano di fare le cose" che genera "frustrazione" tra i giovani più istruiti, come rivelano anche le proteste studentesche esplose il mese scorso contro la riforma universitaria.

L'Economist, non minimizzare il problema
Quanto è grave il problema? L'Economist critica i tentativi di minimizzarlo, anche se le cifre spesso non sono aggiornate. Gli italiani con un alto livello di istruzione che hanno scelto di lasciare il Paese sono 300mila, secondo statistiche Ocse del 2005. Nel 2002 - ricorda il settimanale britannico - un esponente del governo Berlusconi diceva che il problema non esiste, sostenendo che solo 150-300 laureati all'anno lasciano il Paese; oggi un ministro riconosce in privato il fenomeno, ma dice che il solo motivo di preoccupazione è la partenza di ricercatori scientifici. Invece – si legge - uno studio del 2004 rivela che, tra gli emigrati italiani, la parte dei laureati è quadruplicata tra il 1990 e il 1998. Nel 1999, secondo un altro studio, 4mila laureati hanno cancellato la loro residenza in Italia. E, secondo la National Science Foundation americana, solo il 17% dei laureati italiani negli Stati Uniti, la meta più gettonata, lavorano nel campo della ricerca e sviluppo. La maggior parte lavorano come manager. Quello che, secondo l'Economist, differenzia l'Italia dagli altri grandi Paesi europei non è il numero assoluto di esuli laureati, ma il fatto che ha un "drenaggio di cervelli" netto, ovvero il numero di italiani istruiti che lasciano il Paese è superiore al numero di stranieri istruiti che vi entrano. Altri Paesi del mondo sviluppato fanno invece "scambi di cervelli".

Non bastano gli sgravi fiscali per far tornare i cervelli che emigrano
Per invertire la tendenza, non sembra azzeccata neppure l'iniziativa lanciata l'anno scorso dal governo Berlusconi per far tornare in patria i ricercatori all'estero. E' il secondo tentativo in nove anni e, questa volta, il governo offre sgravi fiscali. Ma ciò "manca il punto", secondo Sonia Morano-Foradi, docente di legge alla Oxford Brookes University, in Gran Bretagna, che nel 2006 ha intervistato più di 50 scienziati italiani emigrati. Gli interpellati hanno dato due ragioni principali per la loro decisione di lasciare l'Italia. La prima ragione è lo scarso investimento italiano in ricerca e sviluppo. L'altra ragione è "il sistema di reclutamento non trasparente", considerato come "il più importante e difficile problema accademico in Italia".

Tags Correlati: Economist | Italia | National Science Foundation | Ocse | Oxford Brookes University | Scuola e Università | Sonia Morano-Foradi

 

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