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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 17:32.

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Tuttavia, in molte altre parti del mondo abbiamo osservato negli ultimi decenni un processo di sviluppo raro e non voluto, ovvero un processo di cambiamento strutturale che va nella direzione sbagliata. Le industrie moderne ad alta produttività sono arrivate ad impiegare una quota minima della forza lavoro economica, mentre le attività informali e a bassa produttività si sono allargate. Sin dagli anni ’90, ad esempio, il cambiamento strutturale dei paesi dell’America latina e dell’Africa sub-sahariana ha indebolito piuttosto che incentivato la crescita.

Per contro, gran parte dei paesi asiatici continuano a portare avanti i il modello Lewis. Questa differenza di modelli rispetto al cambiamento strutturale si riflette nella differenza dei tassi di crescita tra America latina ed Africa sub-sahariana da una parte e l’Asia dall’altra.

Questa conclusione sembra in realtà contraddire l’esperienza di paesi come l’Argentina, il Brasile ed il Cile, dove diverse aziende operanti nei settori moderni dell’economia (compresa l’agricoltura non tradizionale) hanno ottenuto una crescita innegabile. Ciò che non si è compreso a fondo è che gran parte di questa crescita è derivata dalla razionalizzazione delle operazioni e dalla modernizzazione tecnologica, e, di conseguenza, a discapito di nuovi posti di lavoro. La produttività complessiva dell’economia non è in realtà sostenuta dalle aziende che diventano produttive riducendo il numero di lavoratori che finiscono per imbarcarsi in attività informali caratterizzate da una produttività di gran lunga inferiore.

La ricerca che ho portato avanti con Maggie McMillan della Tufts University e dell’International Food Policy Research Institute dimostra che i paesi con un forte vantaggio concorrenziale nel campo delle risorse naturali tendono a cadere nella trappola della crescita derivata dalla riduzione dei cambiamenti strutturali. Per questi paesi la globalizzazione rappresenta una benedizione composita. Le industrie operanti nel settore delle risorse naturali ed incentivate dalla globalizzazione hanno una capacità limitata di assorbire l’occupazione al di fuori dei settori tradizionali. La globalizzazione ha pertanto comportato una radicalizzazione del dualismo invece di portare al suo superamento.

Delle politiche adeguate possono comunque essere di sostegno. Una prima lezione è data dall’evitare un collasso prematuro delle industrie concorrenti nel campo delle importazioni, che impiegano un numero consistente di lavoratori, prima che emergano sufficienti opportunità d’impiego in settori industriali più produttivi. I paesi asiatici, ad esempio, hanno avviato un processo di liberalizzazione ai margini (tramite sussidi alle esportazioni o aree economiche speciali), stimolando le industrie dedicate a nuove esportazioni senza limitare gli altri settori.

In secondo luogo, anche il tasso di cambio è importante. Le valute competitive promuovono e proteggono le industrie tradable che impiegano un numero consistente di lavoratori. La nostra ricerca ha dimostrato che i paesi con valute competitive tendono ad incentivare la crescita attraverso un cambiamento strutturale.

Infine, anche delle politiche flessibili applicate al mercato del lavoro sembrano essere essenziali. I requisiti legali che aumentano in modo significativo i costi di assunzione e di licenziamento dei lavoratori scoraggiano la creazione di nuovi posti di lavoro nei nuovi settori industriali.

Il cambiamento strutturale non accelera automaticamente lo sviluppo economico. Ha bisogno di una spinta nella direzione giusta, in particolar modo quando un paese detiene un forte vantaggio concorrenziale nel settore delle risorse naturali. La globalizzazione non altera questa realtà soggiacente, ma aumenta i costi dell’implementazione di eventuali politiche sbagliate proprio come aumenta, per contro, i benefici derivati dall’applicazione di politiche adeguate.

Dani Rodrik è professore di economia politica alla John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard e autore di The Globalization Paradox: Democracy and the Future of the World Economy (Il paradosso della globalizzazione: la democrazia ed il future dell’economia mondiale).

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgPodcast in inglese a quest’indirizzo:Traduzione di Marzia Pecorari

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