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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2011 alle ore 08:01.

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Ci sarà un rimbalzo della pressione fiscale l'anno prossimo. Piccolo, ma pur sempre un rialzo, che fa seguito a tre anni di lieve calo. Lo dice la «Decisione di finanza pubblica» approvata due giorni fa dal Consiglio dei ministri. Dopo la riduzione di un decimale quest'anno, dal 42,6% al 42,5%, il dato indicato dal documento del ministero dell'Economia torna a salire al 42,7%. Poi, nel 2013, una nuova limitura di un decimale.

Variazioni minime. Che sono anche l'effetto congiunto di una crescita che oscillerà tra l'1,1% del 2011 e l'1,5% del 2013, e di un debito pubblico indicato in aumento al 120% quest'anno e che solo nel 2014 scenderà a quota 112,8 per cento. Poiché il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha deciso di fissare gli interventi più corposi di riduzione del deficit nel 2013-2014 (35 miliardi) così da avvicinarsi all'obiettivo del pareggio di bilancio, l'avanzo primario (che fotografa il saldo di bilancio al netto della spesa per interessi) tornerà nei dintorni del 3% solo nel 2014. La conclusione è che non sembrano sussistere al momento le condizioni per una robusta riduzione del carico fiscale, a meno che ovviamente i tassi di crescita dell'economia si attestino a livelli decisamente più consistenti di quelli previsti nel documento.

In sostanza, se vi sono spazi per ridurre le imposte questi non potranno che emergere da misure in grado di spingere la crescita ben oltre le attuali stime, oltre che dal contenimento della spesa corrente e dai proventi attesi dalla lotta all'evasione. Da questo punto di vista, e in piena sintonia con la linea del rigore che ispira i documenti programmatici del governo, la legge di riforma della contabilità pubblica appena approvata dalla Camera fissa con precisione alcuni paletti invalicabili. Il primo è che eventuali eccedenze di gettito dovranno essere indirizzate a ridurre il deficit. E lo stesso Tremonti assicura che è finito il tempo del deficit spending. Per altro verso, certamente la legge delega di riforma del fisco, che Tremonti potrebbe presentare in maggio, potrà dispiegare i suoi effetti solo nel medio periodo, quando si sarà concluso l'intero iter di approvazione dei decreti legislativi e dei relativi regolamenti ministeriali.
A questo riguardo nel «Def» si sottolinea come la «lieve riduzione» del gettito prevista per il 2012-2014 (dal 42,7 al 42,5% del Pil) sconti «una ricomposizione del gettito verso una riforma dei sistemi di imposizione in direzione meno distorsiva, razionalizzando le tax expenditures». Per altro verso, le previsioni «scontano un ampliamento delle basi imponibili delle imposte, ripartendo il peso del prelievo su un maggior numero di contribuenti e riducendo la possibilità di ricorso a comportamenti elusivi o evasivi, motivati dall'eccessivo carico fiscale». Il gruppo di lavoro guidato da Vieri Ceriani sta setacciando le 250 voci di erosione del gettito tuttora presenti nell'ordinamento. Valgono oltre 120 miliardi. L'operazione è quella di accorparle e codificarle, razionalizzando in tal mondo l'intera panoramica degli sconti fiscali.

Per il resto, le grandi linee della riforma seguono l'approccio del graduale passaggio della tassazione «dalle persone alle cose». Sullo sfondo resta l'impegno più volte annunciato, ma poi rapidamente riposto nel cassetto a causa dell'esiguità delle risorse a disposizione, di ridurre a due le attuali cinque aliquote Irpef. Più in generale, la riforma in cantiere ha l'ambizione di rinnovare l'intero sistema fiscale, governato attualmente per gran parte dalla «grande riforma» del 1973.
Il problema da noi non è peraltro il livello complessivo della pressione fiscale, quanto la sua distribuzione che appare decisamente sperequata per effetto di un'evasione che, nonostante i risultati conseguiti negli ultimi anni, resta altissima. Stando ai dati più recenti, il peso reale del fisco sui contribuenti che assolvono regolarmente agli obblighi fiscali e contribuiti è pari al 51,4 per cento. Per le imprese, il tax rate si attesta attorno al 68,6%, contro il 48% della Germania e il 37% del Regno Unito.

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