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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2011 alle ore 11:58.

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Gli imprenditori che fanno un affare quando si ricomprano le aziende di famigliaGli imprenditori che fanno un affare quando si ricomprano le aziende di famiglia

Regali e le fonderie di ghisa
Rivincita. Se chiedete a Luigi Regali cosa l'ha spinto a riprendere le redini della fonderia di famiglia, risponde citando la memoria del padre e il futuro dei figli. Anzi, «se non ci fossero stati loro non lo avrei mai fatto»: proprio i figli hanno giocato un ruolo determinante nella scelta di ricomprare la fonderia creata nel 1950 da Copernico Regali in un'area industriale di Collebeato, in provincia di Brescia. Luigi, come i fratelli Renato e Luciano, in fonderia ci è entrato giovanissimo: ha 15 anni quando comincia ad aiutare il padre. Nel 1996 i rapporti tra i fratelli però si complicano, le esigenze di vita si fanno diverse (Renato si sfila), e l'anno seguente arriva l'opportunità: la famiglia vende la maggioranza a Brembo, conservando però il 40% della Regali spa. Luigi diventa socio di Hopa, la finanziaria creata da Emilio Gnutti che acquista la fonderia Montini e getta le basi per la nascita del gruppo Montini-Regali. Hopa acquista il 60% della Regali da Brembo e la porta sotto il controllo della Montini: la finanziaria bresciana tiene il 70%, Luigi e Luciano Regali il 15% a testa.
Nel 2009 una nuova divisione familiare: Luciano decide di acquisire una fonderia in Brasile. Alla fine di quell'anno, presa la quota del fratello, con un assegno da 50 milioni finanziato per due terzi dalle banche e per un terzo da capitali propri, Luigi si compra il cento per cento della Montini-Regali («Ho visto ancora interesse nel settore»). La fonderia nata per volontà di Copernico Regali, e quella altrettanto storica appartenuta alla famiglia Montini. «L'ho fatto anche per portare avanti un progetto di papà. Mio padre aveva sempre avuto il pallino della Montini, diceva sempre di stimare molto Montini. Ecco, la terza generazione le ha in mano entrambe, Regali e Montini. Peccato che lui oggi non possa venire a fare un giro in fonderia…».

Aquila e le penne stilografiche
Ci sono anche casi in cui la famiglia che gestisce l'azienda non è la stessa che l'ha fondata, ma l'ha comunque gestita e portata al successo. Esemplare il caso di Gianfranco Aquila e della Montegrappa di Bassano, la prima fabbrica di stilografiche nata in Italia. Fondata nel 1912 come «Manifattura pennini oro per stilografiche – the Elmo pen», grazie all'opera di due austriaci, Edwige Hoffman e Heidrich Helm, negli anni '20 viene ceduta ad Alessandro Marzotto e Domenico Manea, cambia nome e comincia a produrre anche penne. Diventa Montegrappa nel 1951, e anni dopo incrocia il percorso con quello di Gianfranco Aquila e la sua "passione ereditaria" per le stilografiche. «Mio nonno Benvenuto era esclusivista di Van Cleef dalla Campania alla Sicilia – ha raccontato Aquila in un'intervista – e mio padre Leopoldo Tullio fu per 40 anni il distributore delle stilografiche Aurora nel Meridione. Nel 1938 creò il marchio Lalex, fondendo le iniziali del suo nome e cognome con lex, e cominciò a produrre in proprio la super penna Aquila». Nel 2000 arriva l'offerta che non si può rifiutare. La avanza Richemont, gruppo svizzero che comprende marchi come Cartier e Montblanc, e la famiglia Aquila cede. «All'epoca l'azienda era in mano ai 5 membri della nostra famiglia, ognuno con il 20 per cento. Arrivò l'offerta di Richemont, che stava ampliando il pacchetto italiano. Non potevamo dire di no», racconta Giuseppe Aquila, ultimogenito e ora direttore generale di Montegrappa. Poi le cose però non sono andate per il verso giusto, l'organico è cresciuto a dismisura, e sui conti si è accumulato un rosso di 2 milioni di euro.
«Quando l'abbiamo lasciata, l'azienda contava 25-26 persone che producevano penne artigianali, con metalli preziosi, gioielli, e il fatturato era di 10-11 miliardi di lire. In seguito aveva raggiunto costi eccessivi, un centinaio di persone a Bassano, personale marketing a Milano, 18 manager in giro per il mondo… Montegrappa era sotto Montblanc, che già aveva problemi: le aziende al di sotto dei 100 milioni non potevano sopravvivere all'interno del gruppo. Nell'estate 2008, un periodo di crisi del lusso, ci hanno proposto: ma perché non la ricomprate? L'operazione si è chiusa a giugno 2009». Domanda: rifareste tutta la trafila? «Direi di sì», risponde Giuseppe. «Durante questi 9 anni abbiamo sempre mantenuto il rapporto: io sono rimasto personalmente a lavorare per 5 anni, come prevedeva una clausola. E poi Richemont ha investito in tecnologia e l'azienda ci è tornata meglio di prima. Il fatturato, tutto ai distributori, quest'anno è sui 10 milioni, in linea con il clou del 2005-2006, e l'obiettivo è di portarlo a 15 milioni». Vendere e ricomprare: tutto ripetibile, dunque. «Non solo per un fatto di convenienza, ma per una sorta di fatalismo: non riesco a immaginare un percorso diverso».

Peyrano e il cioccolato di Torino
Opportunità. A volte quella di vendere è troppo forte, come ha confessato la famiglia Aquila, ma anche quella di ricomprare. E' accaduto di recente a Torino, dove la famiglia Peyrano è tornata proprietaria della sua fabbrica di cioccolato. Il nome Peyrano si lega al cioccolato fin dal 1920, quando Antonio trasforma il piccolo laboratorio di via Moncalieri adibito dalla sorella Lucia alla produzione e alla vendita di caramelle. I Peyrano hanno dovuto abbandonare la produzione delle caramelle per la concorrenza di industrie più grandi: il cioccolato è stato la manna. Nel 1963 viene rilevata la pasticceria Pfatisch di corso Vittorio Emanuele, che diventa così "Peyrano Pfatisch", conservando inalterate le architetture interne risalenti agli anni Trenta. Arrivata alla terza generazione di famiglia, nel dicembre 2002 Peyrano accoglie il gruppo Maione, che diventa prima socio al 51% e poi unico proprietario del marchio. Fin qui è storia. La cronaca racconta però che la storica società, ceduta agli imprenditori napoletani, a metà dicembre 2010 fallisce e i dipendenti (una trentina, tutti in cassa integrazione eccetto tre, rimasti in attività per l'esercizio provvisorio) lanciano un appello ai torinesi chiedendo di comprare i prodotti, le scorte in magazzino, per portare liquidità in cassa. In molti si sono lanciati all'asta per aggiudicarsela, la Peyrano. Alla fine l'hanno spuntata Giorgia e Bruna Peyrano, che ha commentato: «bisogna fare delle operazioni di manutenzione e poi, piano piano, se i clienti ce lo permetteranno, riprenderemo tutti i dipendenti». Per tornare una famiglia.

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