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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2011 alle ore 17:13.

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Dato che i principali strumenti di contrasto all’inflazione risultano essere lame a doppio taglio, le autorità cinesi cercheranno senza dubbio altre misure. E’ innanzitutto probabile che introdurranno delle forme di controllo qualità sui prestiti bancari, sebbene gli effetti di queste regolamentazioni siano ormai limitati in quanto sia le banche che altri istituti finanziari hanno sviluppato una serie di modi per evitarle.

Una misura più efficace consisterebbe nell’espandere le operazioni di sterilizzazione della Banca Centrale. In teoria, la Banca Popolare cinese è in grado di sterilizzare qualsiasi massa monetaria derivata dai flussi di capitale straniero, emettendo la somma richiesta in obbligazioni. Ma nella pratica la banca si trova ad affrontare due tipologie di costi.
Il primo costo è legato ad una perdita diretta di rendiconto, in quanto l’emissione di un maggior numero di obbligazioni comporta un aumento del tasso di interesse. Allo stesso tempo, il tasso di interesse applicato alle riserve di valuta straniera della banca centrale, per gran parte in dollari denominati in titoli del tesoro, risulta comunque basso.

La seconda tipologia di costo è implicita, ma potenzialmente molto più consistente. Poiché, infatti, i bond sterilizzati rappresentano risparmi forzati (e risultano essere per definizione deflazionistici), tendono ad assorbire gli investimenti ed il consumo potenziale dettati dall’attuale surplus commerciale. In risposta a tassi più elevati sui bond sterilizzati le banche limiterebbero, ad esempio, i prestiti mutuatari obbligando i consumatori a risparmiare di più per acquistare gli immobili. Ne risulta che una maggiore emissione di bond oggi, scoraggerebbe gli investimenti interni ed il consumo in futuro.

A lungo termine le operazioni di sterilizzazione della Banca Popolare cinese risulterebbero quasi sicuramente controproducenti. Sterilizzando, infatti, la massa monetaria derivata dal surplus attuale del commercio, la banca non farà altro che creare nuovi surplus di conto corrente in futuro.

Le autorità cinesi devono pertanto trovare nuovi modi per affrontare i problemi di squilibrio esterno. Un modo potrebbe essere quello di aumentare le importazioni al consumo. Al momento i beni al consumo rappresentano solo il 2,3% delle importazioni cinesi in quanto sono soggetti a tariffe elevate e dazi sul valore aggiunto o sulla vendita che implicano procedure lente e complicate.

La riduzione delle tariffe sui beni al consumo e la semplificazione delle procedure doganali migliorerebbero il benessere dei consumatori senza causare alcun danno all’industria nazionale. Consideriamo, ad esempio, le potenziali importazioni dagli USA gran parte delle quali sarebbero prodotti di marca, mobilia, auto di alta fascia e prodotti agricoli a coltura intensiva (come la carne bovina). La Cina non ha alcun vantaggio concorrenziale in questi campi.

Diversamente dalle esportazioni, un maggior numero di importazioni di beni al consumo potrebbe aiutare la Cina a contrastare l’inflazione. Inoltre, un aumento delle importazioni ridurrebbe il suo surplus commerciale aiutando ad equilibrare la sua posizione all’esterno, obiettivo fortemente auspicato da tutta la comunità internazionale.

In breve, una politica mirata all’aumento delle importazioni aiuterebbe a raggiungere diversi obiettivi importanti e comporterebbe solo rischi minori, o addirittura nessun rischio, per la crescita economica. Non c’è alcuna ragione plausibile per cui le autorità cinesi dovrebbero rifiutarsi di fare questo sforzo.

Yao Yang è direttore del China Center for Economic Reform presso la Peking University.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgTraduzione di Marzia Pecorari

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