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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2011 alle ore 17:05.

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Credo che il giudizio di Summers sia equo e corretto. E mi reputo tra quelli che hanno dimenticato parte delle nozioni acquisite e che sono stati distratti, nonostante abbia sempre utilizzato il libro Lombard Street ai miei corsi di storia economica e Manias, Panics, and Crashes ai miei corsi di macroeconomia ed abbia sempre considerato con rispetto , , e .

Sono stato, tuttavia, molto colpito dal livello di panico che ha causato ciò che a mio avviso sono state delle perdite relativamente limitate (rispetto all’entità dell’economia globale) con i mutui subprime, dalla debolezza dei controlli sul rischio da parte delle principali banche, dall’estrema riduzione della domanda, dall’inefficienza del mercato nel ripristinare l’equilibrio dell’offerta e della domanda nel mercato del lavoro e dalla capacità dei principali governi di prendere in prestito per sostenere la domanda senza l’implicazione di un rapido aumento dei tassi di interesse.

Mi sorprende l’entità della catastrofe, ma quello che mi sorprende ancor di più è l’apparente fallimento degli economisti accademici nel prepararsi per il futuro. Sulla scia della crisi mi aspettavo che i dipartimenti economici di tutto il mondo affermassero che bisogna cambiare i modelli impiegati.

Il fatto è che abbiamo bisogno sempre meno di teorici di mercati efficienti e sempre più di persone che lavorino sulle microstrutture, sui limiti dell’arbitraggio e sui pregiudizi nozionistici. Abbiamo bisogno di meno teorici sull’equilibrio dei cicli del business e più keynesiani tradizionalisti e monetaristi. Abbiamo bisogno di più storici delle politiche monetarie ed economiche e meno ideatori di modelli. Abbiamo bisogno di più economisti come , , , Reinharts, e e soprattutto come Kindleberger, Minsky, o Bagehot.

Tuttavia, non è questo quello che dicono i dipartimenti economici.

Forse non mi rendo perfettamente conto di quello che sta succedendo. Forse i dipartimenti economici stanno cercando un nuovo orientamento dopo la grande recessione nello stesso modo in cui si sono orientati verso il monetarismo dopo l’inflazione degli anni ’70. Ma se per caso mi sono perso qualche cambiamento epocale in atto, mi piacerebbe che qualcuno me lo indicasse.

Forse gli economisti accademici perderanno la condivisione delle loro teorie e la loro influenza sugli altri attori -dalle scuole di business ai programmi sulla politica pubblica, ai dipartimenti di scienze politiche, di psicologia e sociologia-. Mentre poi i rettori e gli studenti universitari chiedono più rilevanza ed utilità, forse questi colleghi inizieranno ad insegnare le funzionalità dell’economia lasciando agli accademici una disciplina che insegna semplicemente la teoria della scelta logica.

O forse l’economia rimarrà una disciplina che dimentica gran parte delle nozioni di una volta e che si fa continuamente distrarre, mandare in confusione e negare. Se dovesse veramente succedere, staremo tutti molto peggio.

J. Bradford DeLong, ex assistente segretario al tesoro degli Stati Uniti, è professore di economia presso l’Università della California di Berkeley e ricercatore associato al National Bureau for Economic Research.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgPodcast in inglese a quest’indirizzo:Traduzione di Marzia Pecorari

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