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Questo articolo è stato pubblicato il 25 maggio 2011 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 25 maggio 2011 alle ore 08:44.

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Sud a caccia dell'industria che non c'è (Fotolia)Sud a caccia dell'industria che non c'è (Fotolia)

Lo storico Luciano Cafagna, allora, è un collaboratore di Antonio Giolitti, ministro del Bilancio nel 1964 e protagonista centrale della stagione della programmazione economica. «Investimenti ingenti del capitale pubblico e incentivi ai gruppi privati - ricorda Cafagna - hanno portato all'industrializzazione del Sud. All'inizio, molte cose sono andate bene. Anche in quel primo periodo, però, abbiamo commesso errori. Per esempio, per assecondare la filosofia sindacale egemone, non accettammo l'idea elaborata dalla economista Vera Lutz dei salari differenziati, che sarebbero stati utili per attirare investimenti volontari al Sud».

Nella fase successiva, l'industrializzazione del Sud è segnata dalla prevalenza della politica sull'economia e dalla presa dei partiti sui grandi gruppi pubblici. E la classe dirigente italiana non si mostra in grado di plasmare una realtà dove lo spirito imprenditoriale non attecchisce. «Di imprenditori - sottolinea Cafagna - il Sud ne ha sempre avuti pochi. I commercianti in Puglia. Qualcuno in Campania. Intorno agli stabilimenti pubblici e privati, però, non sono sorte e non hanno prosperato piccole e medie imprese. Non si sono formate vere e proprie filiere. Da questo punto di vista l'immagine delle cattedrali del deserto resta valida. Anche per le fabbriche che hanno funzionato in passato e anche per quelle che funzionano tuttora».

Una sterilità, o per lo meno una minore fecondità, che traspare dall'andamento storico delle imprese con almeno due addetti. Nel 1903 sono 68.001 al Centro-Nord e 49.340 al Sud: il 35% in più al Nord. Nel 2008 se ne contano 526.730 al Nord e 131.670 al Sud: il 300% in più al Nord. Un indicatore che non tiene conto del fatto che le aziende meridionali sono in media molto più piccole. Anche se va ricordato come, in un contesto insieme unito e distinto, molti giovani del Sud per trent'anni hanno preso un treno per andare a lavorare nelle fabbriche del Nord. Anche per questo, alla fine, il vero assente nella storia italiana è l'"imprenditore" meridionale. «In ogni caso - riflette Viesti - quel poco di imprenditoria meridionale che c'è rappresenta l'estremizzazione di quella settentrionale: ha una dimensione inferiore, è ancora più fragile finanziariamente, è più esposta ai mercati globali».

Il Sud come matrioska deformata del Nord: più piccola, ma con gli stessi tratti. Le due parti del Paese ora si sovrappongono, ora no. Ora si integrano, ora no. Ma, alla fine, hanno comunque un legame di simbiosi. Non sarà un caso che, oggi, il 40% di quanto si produce al Nord finisca al Sud. E che il 63% di ciò che si spende al Sud vada al Nord.

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