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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2011 alle ore 07:55.

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Nord e Sud divisi dal carovitaNord e Sud divisi dal carovita

Grazie a questo metodo elaborato da Vecchi insieme al ricercatore di Tor Vergata Nicola Amendola, che unisce la ricerca di archivio più classica con la statistica più matematizzante, si è ottenuto un nuovo indice del costo della vita del Centro-Nord e del Sud. «Peraltro - dice Vecchi - non è chiaro quali siano gli ostacoli che abbiano finora impedito alla ricerca e alle istituzioni pubbliche di produrre deflatori che permettano di cogliere le differenze fra le diverse aree del Paese. Se la World Bank mi manda come economista in missione in un qualunque Stato, immediatamente l'istituto locale di statistica mi fornisce o il deflatore stesso o gli elementi con cui costruirlo».

Da questa analisi risulta che, fatto 100 l'indice italiano, nel 1947 il costo della vita al Centro-Nord era pari a 105, mentre al Sud era di 94. Dopo una iniziale convergenza che ha la sua massima intensità verso il 1961, quando il costo della vita è intorno a 103 al Centro-Nord e 96 al Sud, si profila una divaricazione graduale e costante fino all'attuale 106 e 88. Durante il Fascismo, la dinamica non è troppo dissimile. Fissati a 100 i prezzi medi nazionali, il costo della vita è pari a 104 al Centro-Nord e a 93 al Sud. Nel 1938 è pari a 106 e 91 punti. Costo della vita che, oltre agli alimentari, contempla anche le spese per la casa e per i vestiti, l'educazione e i diversi servizi alla persona.

In questa ideale storia del carovita, un punto di vista interessante, per un Paese che nell'800 e nel 900 è uscito con energia ma anche fatica dalla povertà contadina approdando a uno sviluppo ancora tutto da decifrare nella sua natura vera o presunta di progresso, è quello che riguarda il cibo. L'indice spaziale dei prezzi dei generi alimentari mostra come, dai dieci punti scarsi di differenziale fra Centro-Nord e Sud del 1951 (103,7 contro 94), si è passati ai sedici del 1991 (106 contro 90) e ai tredici di quest'anno (104,8 a fronte di 91,6). Ed è proprio attraverso la lente dell'investimento più elementare e primitivo, quello dell'alimentazione, che si scorge l'esistenza di diversità, nel tessuto sociale ed economico. Non soltanto, a livello di prezzi, fra Nord e Sud. Ma anche fra Nord e Nord e fra Sud e Sud.

Le isole, per esempio, nel dopoguerra avevano un indice di prezzo dei generi alimentari pari a 99,5 punti e, sessant'anni dopo, sono scese a 93 punti. Il Sud, senza le isole, è passato da 91,5 a 90,7. Il Centro ha subìto una rilevante flessione relativa, da 106 a 97,5. Il Nord-Ovest è rimasto costante: da 107 a 108 punti. E il Nord-Est, l'area italiana che è cresciuta con maggiore forza nel secondo dopoguerra, ha visto anche l'indice dei prezzi dei suoi generi alimentari lievitare, passando da 97,7 punti a 107,9 punti. Fotografie in movimento di un'Italia che, nei suoi 150 anni di vita, è sempre stata vitale e contraddittoria, articolata e complessa. Immagini nuove, essenziali nella riflessione intellettuale sulla storia nazionale e utili nella elaborazione delle politiche per il Paese che verrà.

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