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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2011 alle ore 17:02.

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I politici spesso cercano di tutelare i consumatori effettuando manovre di controllo sui prezzi dei beni alimentari di prima necessità e dell’energia. Abbassare artificiosamente i prezzi significa però imporre un razionamento alle famiglie del paese. (La carenza di cibo può scatenare rivolte politiche alla stregua di un rincaro dei prezzi). Diversamente, la politica potrebbe soddisfare l’eccedenza di domanda tramite le importazioni, ma in questo modo farebbe lievitare oltremisura il prezzo internazionale.

Se il paese è produttore della materia prima in questione, potrebbe utilizzare i per proteggere i consumatori domestici dagli aumenti del prezzo internazionale. Nel 2008 l’India ha posto dei limiti sulle esportazioni di riso, e l’Argentina ha agito nello stesso modo per le esportazioni di frumento, e così la Russia nel 2010.

Le restrizioni sulle esportazioni nei paesi produttori e i controlli sui prezzi nei paesi importatori non fanno che far aumentare l’ampiezza delle spinte verso l’alto dei prezzi internazionali, a causa della riduzione artificiale delle quantità che sono tuttora commerciate a livello internazionale. Se i paesi produttori e consumatori nei mercati del grano decidessero di cooperare e di astenersi da tali interventi governativi – magari appoggiandosi all’Organizzazione mondiale del commercio – la volatilità dei prezzi mondiali potrebbe ridursi.

Nel frattempo, devono essere intrapresi alcuni passi importanti. Prima di tutto, bisogna abolire i sussidi sui biocarburanti. I sussidi per l’etanolo, come quelli pagati agli agricoltori di granoturco americani, non rispettano gli obiettivi ambientali tanto agognati dai policymaker, ma deviano il corso del grano e fanno schizzare verso l’alto i prezzi mondiali dei generi alimentari. Tale situazione dovrebbe essere ormai chiara a tutti. D’altra parte non ci si può aspettare che i ministri dell’agricoltura del G20 riescano a sistemare tutte le problematiche. Dopotutto, sono i loro elettori, gli agricoltori, a tirare fuori i soldi. (In tal senso gli Usa rappresentano un enorme ostacolo).

Forse sarebbe meglio accettare che i prezzi delle materie prime fluttuino e creare soluzioni in grado di contrastare effetti economici negativi, come ad esempio l’uso di strumenti finanziari atti a fornire copertura agli scambi commerciali.
I ministri dell’agricoltura del G20 hanno deciso di creare un sistema teso a migliorare la trasparenza nei mercati agricoli, in termini di informazioni su produzione, riserve e prezzi. Informazioni più complete e tempestive in effetti potrebbero essere di aiuto.
Il genere di politica che evidentemente ha in mente Sarkozy è tuttavia quella di combattere gli speculatori, che vengono percepiti come fattori destabilizzanti nei mercati delle materie prime agricole. Vero è che negli ultimi anni le commodity assomigliano sempre più ad asset e sempre meno a prodotti. I prezzi non sono determinati solamente dal confronto tra flusso di domanda e offerta corrente e dai fondamentali economici attuali (come i disagi derivanti dalle condizioni climatiche o i disordini dettati dalla politica), ma sono determinati sempre più dai calcoli relativi ai fondamentali futuri attesi (come la crescita economica in Asia) e dai rendimenti alternativi (come i di interesse) – in altre parole, dagli speculatori.

Ma la speculazione non è necessariamente destabilizzante. Sarkozy ha ragione quando sostiene che la leva finanziaria non è automaticamente positiva per il semplice fatto che viene stabilita dal libero mercato, e che gli speculatori occasionalmente agiscono in modo destabilizzante. L’azione degli è più spesso orientata a rilevare i cambiamenti nei fondamentali economici o a fornire segnali che placano le fluttuazioni transitorie. In altre parole, sono spesso una forza stabilizzante.

I francesi non sono ancora riusciti ad ottenere il consenso da parte degli altri membri del G20 sulle misure volte a regolamentare gli speculatori delle commodity, per esempio attraverso l’imposizione di limiti sulle dimensioni delle posizioni di investimento. Colpire il latore non è il modo giusto di rispondere al messaggio.

Jeffrey Frankel è professore di amministrazione pubblica presso la John F. Kennedy School of Government dell’Università di Harvard.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino

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