ROMA
Dalla battaglia di pochi a una rivoluzione di sistema. La svolta di Confindustria contro il racket e i condizionamenti mafiosi, partita dall'intuizione di un gruppo di imprenditori siciliani, ha prima conquistato la scena nazionale e adesso compie un ulteriore salto di qualità con un progetto per la legalità nell'ambito della programmazione dei fondi europei prossimo a partire (è attesa la firma della convenzione). Maturata una sintonia sempre più stessa con i magistrati impegnati in prima linea contro il fenomeno mafioso, l'attività che vede protagonisti Antonello Montante, vicepresidente e delegato nazionale di Confindustria per la legalità, e Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, si è via via rafforzata fino a contraddistinguere l'attuale presidenza di Emma Marcegaglia. Il progetto che sarà finanziato con i fondi europei del Pon sicurezza realizzato dal ministero dell'Interno rientrerà nella stessa logica che ha visto crescere in questi anni le attività di supporto (fino all'aiuto di tipo psicologico) a chi denuncia il pizzo e ha visto estendersi la filosofia della «mafia non inevitabile» prima da Caltanissetta al resto della Sicilia, poi alle altre regioni meridionali e ora anche alle prime realtà del Nord, sempre più consapevoli di non essere immuni dalle infiltrazioni della grande criminalità.
«Una storia di imprenditori, non di eroi» la definisce Filippo Astone nel libro "Senza Padrini" che viene presentato oggi a Roma. Il percorso di Confindustria per la legalità è partito, oltre che da Montante e Lo Bello, da Giuseppe Catanzaro, presidente di Confindustria Agrigento e vicepresidente Confindustria Sicilia, Marco Venturi, imprenditore e oggi assessore tecnico in Regione. Dietro di loro decine di industriali di piccola e media dimensione, da Rosario Amarù a Massimo Romano, che si sono ribellati alle scorrerie e alle minacce mafiose. Tutti consapevoli che essere proprietari di un'azienda significa lottare innanzitutto per un'equa concorrenza. Obiettivo reso impossibile dal racket: «Le aziende che fanno parte del cartello mafioso – spiega in modo lineare Lo Bello – sono favorite dal fatto che stanno dentro mercati protetti che annullano la concorrenza».
È il concetto chiave portato avanti da Montante e Lo Bello in una rivoluzione partita da Caltanissetta, capace di dribblare minacce e avvertimenti e di concretizzarsi nella modifica del codice etico di Confindustria Sicilia e l'espulsione degli imprenditori che non denunciano il pizzo. Dal febbraio 2010, su proposta del Comitato per il Sud presieduto da Cristiana Coppola, l'obbligo di denuncia, pena l'espulsione, è stato esteso a tutto il Mezzogiorno. Fino alla svolta nazionale con il protocollo di legalità con il ministero dell'Interno, predisposto da Montante e dal prefetto Francesco Cirillo, e firmato il 10 maggio 2010 da Emma Marcegaglia e dal ministro Roberto Maroni. Oggi il lavoro è portato avanti in stretta collaborazione con i magistrati e con i vertici delle forze dell'ordine. Tra gli esempi – citati da Montante anche in "Senza Padrini" – le azioni di prevenzione in collaborazione con il Commissario straordinario del governo per il racket e l'usura, Giancarlo Trevisone, sensibilizzando i Confidi e lavorando a stretto contatto con le associazioni anti-racket e anti-usura.
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LE IMPRESE CHE RESISTONO
IL NO AL RACKET E L'ESPULSIONE DI CHI CEDE
LA PRIMAVERA SICILIANA E IL PATTO PER LA LEGALITÀ
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