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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2011 alle ore 15:38.

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Sembra quasi che fare l'albergatore per lei sia un po' come fare il regista.
È proprio così. Per gli ospiti dei miei hotel metto in piedi un vero e proprio show. Le persone coinvolte sono moltissime, come in un progetto cinematografico. L'esperienza stessa del soggiorno, breve o lunga che sia, deve essere come un film. Un film di cui i clienti si sentono protagonisti. La scenografia e i costumi – cioè la struttura in sé – e la sceneggiatura, che comprende il personale, il cibo, la spa e ogni piccolo dettaglio, devono fondersi il più possibile armoniosamente. Ogni film, pardon, ogni hotel, è diverso. E ogni persona lo vive in modo diverso, proprio come ogni spettatore vede una pellicola a modo suo.

Vista la passione con cui ne parla, forse dovrei chiederle come è iniziata la sua carriera di albergatore.
Dobbiamo tornare al periodo che trascorsi nelle Filippine per girare Apocalipse Now: le riprese durarono molto più del previsto. Passai moltissimi mesi nella giungla, tanti pensano che sia un posto pericoloso, in cui si rischia in ogni istante di essere azzannati da un animale o morsi da un serpente o in cui ci può ammalare delle più terribili febbri. Non è così: basta prendere piccole metodiche precauzioni, basta rispettare la natura in cui si è immersi e la giungla diventa una sorta di grembo sicuro, di luogo avvolgente che ci fa capire da dove veniamo e come, in quanto esseri viventi, siamo parte di un ecosistema. Sviluppai un attaccamento di tipo, appunto, materno per la giungla e le Filippine in particolare e volevo comprare una tenuta lì. Ma moglie mi convinse che era un luogo troppo lontano per pensare di tornarci spesso, per quanto lo amassi. Ripiegai sul Belize, dove la giungla era altrettanto bella. Ma la distanza rimaneva e la tenuta che acquistammo negli anni 80 alla fine la godemmo pochissimo. Così decisi di trasformarla in albergo. Convertire le stanze, ripensare gli spazi, arredarli, pensare al menù e all'accoglienza fu talmente divertente che finito quel progetto non vedevo l'ora di iniziare un altro.

È chiaro che la sua non sarà mai una catena. Ogni hotel ha una personalità fortissima. Di Bernalda cosa ci può dire?
Non sarà certo l'hotel di un americano in Basilicata... È un palazzo costruito tra il 1885 e il 1892 dal podestà dell'epoca, Giuseppe Margherita. A curarne la direzione artistica abbiamo chiamato Jacques Grange, forse il miglior architetto d'interni di lusso al mondo. I suoi clienti più famosi restano Yves Saint Laurent e Pierre Berge, ma ha lavorato anche per Francois Pinault e Paloma Picasso. I lavori però sono stati fatti da aziende locali e abbiamo usato materiali e lavorazioni tipiche della Basilicata. Anche perché per ristrutturalo abbiamo usufruito di una legge italiana, la 488, e sono felice se, nel mio piccolo, potrò contribuire allo sviluppo della Basilicata.

Gli imprenditori stranieri si lamentano spesso della giungla normativa e burocratica italiana. Lei che ama le giungle come si è trovato?
Probabilmente non sarei andato lontano se non avessi creato una società ad hoc, la Mar Ionio Surl, guidata da Fabio Notarangelo, un manager di grande esperienza (nato nel 1968 a Lecce, è laureato alla Bocconi e ha lavorato a lungo in America, ndr) che però conosce e ama profondamente la Basilicata, anche se è pugliese. L'ho conosciuto, poi l'ho visto lavorare, ha seguito il progetto fin dall'inizio, dall'acquisto del palazzo in poi. E sono sicuro che lavoreremo su altri progetti.
Quali?
Non pretendo di vendere il mio vino californiano qui in Italia, ma potrei comprare dei terreni per vendere il vino italiano in America. Oppure potrei potenziare Mammarella, la mia attività nel food lucano. Ma la cosa più importante e urgente sarebbe potenziare lo scalo di Pisticci, magari creando quello che in America chiamiamo "Flight base operator", una società che gestisca i servizi aeroportuali e faciliti i collegamenti, soprattutto dall'America. Ho già trovato il nome: AirFrancis.

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