Il Sole 24 Ore
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Il Governo della globalizzazione

di Jeffrey Sachs



NEW YORK – Viviamo in un’era in cui le forze più influenti su ogni economia sono globali e non locali. Ciò che accade all’estero – in Cina, in India e altrove – incide fortemente anche su un’economia della portata degli Stati Uniti.

La globalizzazione economica ha prodotto vantaggi importanti per il mondo, tra cui la rapida diffusione di tecnologie avanzate come Internet e la telefonia mobile. Ha altresì ridotto la povertà in numerose economie emergenti; basta questo per rendersi conto di quanto sia importante mantenere aperta e interconnessa l’economia mondiale.

Eppure la globalizzazione ha creato anche grossi problemi, che devono essere affrontati. Innanzitutto, ha aumentato la portata dell’evasione fiscale, a causa della rapida proliferazione di paradisi fiscali in tutto il mondo. Le multinazionali hanno più opportunità rispetto al passato di eludere il fisco.

Inoltre, la globalizzazione ha creato perdenti e vincitori. Nei Paesi ad elevato reddito, come gli Usa, l’Europa e il Giappone, i principali perdenti sono i lavoratori che non possiedono il giusto livello di istruzione per competere in modo efficace con la manodopera a basso costo dei Paesi in via di sviluppo. I più colpiti sono i lavoratori dei Paesi ricchi che non hanno un titolo di studio universitario e che per questo hanno perso il posto di lavoro. Chi non l’ha perso ha invece assistito a una stagnazione o una riduzione dello stipendio.

La globalizzazione ha anche alimentato il contagio. La crisi finanziaria del 2008 è partita da Wall Street ma si è rapidamente diffusa in tutto il mondo, sottolineando la necessità di cooperazione globale sul fronte delle banche e della finanza. I cambiamenti climatici, le malattie infettive, il terrorismo e altre piaghe che facilmente superano i confini nazionali necessitano di una risposta globale della stessa entità.

La globalizzazione ha bisogno di politiche governative intelligenti. I Governi dovrebbero incentivare l’istruzione di alta qualità, per consentire ai giovani di affrontare la concorrenza globale. Dovrebbero innalzare la produttività creando infrastrutture moderne e promuovendo scienza e tecnologia. E dovrebbero cooperare a livello globale per regolamentare quelle parti dell’economia (in particolare finanza e ambiente) in cui i problemi di un Paese possono estendersi ad altre parti del mondo.

La necessità di un Governo altamente efficace nell’era della globalizzazione è il messaggio chiave del mio nuovo libro, The Price of Civilization. In parole semplici, oggi abbiamo bisogno di più Governo, non di meno Governo. Ma anche il ruolo del Governo va modernizzato, in linea con le specifiche sfide lanciate da un’economia mondiale interconnessa.

Ho scritto The Price of Civilization perché convinto che il Governo americano non sia riuscito a comprendere le sfide della globalizzazione e a rispondere di conseguenza, fin da quando la globalizzazione iniziò a incidere sull’economia americana negli anni 70. Invece di rispondere alla globalizzazione aumentando la spesa pubblica destinata a istruzione, infrastrutture e tecnologia, Ronald Reagan vinse le elezioni del 1980 promettendo di tagliare la spesa pubblica e ridurre le tasse.

Sono trent’anni che gli Usa vanno nella direzione sbagliata, riducendo il ruolo del Governo nell’economia domestica invece di promuovere gli investimenti necessari a modernizzare l’economia e la forza lavoro. A beneficiare di questa situazione nel breve periodo sono stati i ricchi, che hanno ottenuto massici sgravi fiscali. I poveri hanno sofferto per la disoccupazione e per i tagli nei servizi pubblici. La disuguaglianza economica ha raggiunto il livello più alto dalla Grande Depressione.
Queste tendenze negative sono state esacerbate dalla politica domestica. Gli abbienti hanno utilizzato la ricchezza per rafforzare il proprio controllo sul potere. Finanziano le costose campagne di presidenti e parlamentari, che a loro volta aiutano i ricchi, spesso a scapito del resto della società. La stessa sindrome, che vede i ricchi guadagnarsi (o rafforzare) il controllo del sistema politico, ora affligge molti altri Paesi.

Da tutto il mondo, però, arrivano importanti segnali di gente stanca di Governi che riservano trattamenti speciali ai ricchi non curandosi di tutti gli altri. Cresce il desiderio di una maggiore giustizia sociale. Le rivolte scoppiate a Tunisi e al Cairo sono state definite Primavera araba, perché sembravano limitarsi al mondo arabo. Poi abbiamo assistito alle proteste esplose a Tel Aviv, Santiago, Londra, e persino negli Stati Uniti, che hanno invocato soprattutto una politica più inclusiva che prendesse il posto della corrotta politica di oligarchia

Inoltre, il presidente americano Barack Obama si sta lentamente spostando a sinistra. Dopo tre anni passati a coccolare le lobby societarie, ha finalmente iniziato a sottolineare la necessità di far pagare più tasse ai ricchi; ma lo ha fatto troppo tardi nel suo mandato, e potrebbe continuare a favorire i ricchi e Wall Street in cambio di contributi per la campagna elettorale del 2012, anche se c’è un barlume di speranza sulla possibilità che Obama sostenga comunque una politica di bilancio più equa.

Anche numerosi Governi europei, tra cui quelli di Spagna, Danimarca e Grecia, sembrano muoversi nella stessa direzione. La Spagna ha recentemente imposto una nuova tassa che graverà sui cittadini con alta capacità economica. La Danimarca ha eletto un governo di centrosinistra che promette di aumentare la spesa pubblica finanziandola con nuove tasse sui ricchi. E la Grecia ha appena varato una nuova tassa sulla proprietà per colmare l’enorme disavanzo di bilancio.
La Commissione europea ha altresì proposto una nuova tassa sulle transazioni finanziarie, che dovrebbe garantire un flusso di circa 75 miliardi di dollari l’anno. La Commissione ha finalmente ammesso che il settore finanziario europeo è stato sotto tassato. La nuova tassa potrebbe incontrare l’opposizione politica in Europa, soprattutto nel Regno Unito, dove il settore bancario è grande e influente, ma almeno il principio di una maggiore equità fiscale è in cima all’agenda europea.

Le economie di maggior successo oggi sono in Scandinavia. Ricorrendo al gettito fiscale per finanziare un migliore livello di servizi pubblici, questi Paesi hanno mantenuto un equilibrio tra elevata prosperità, giustizia sociale e sostenibilità ambientale. È questo il segreto per raggiungere il benessere nell’economia globalizzata di oggi. Forse alcune parti del mondo – soprattutto i giovani – stanno cominciando a riconoscere questa nuova realtà.

Jeffrey D. Sachs è professore di economia e direttore dell’Earth Institute presso la Columbia University. È anche consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per gli Obiettivi del Millennio.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino