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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2011 alle ore 13:58.

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Ciò nonostante, se da un lato Erdoðan sembra essere al culmine del potere, in realtà sono gli alleati gulenisti del suo governo ad essere diventati sempre più potenti. I membri del movimento transazionale gulenista, ispirato ai seguaci di Fethullah Gülen, un teologo musulmano residente in Pennsylvania, stanno ingaggiando i loro compagni nella polizia turca, nella magistratura, nelle amministrazioni e nelle università. I media gulenisti determinano ora la nuova linea ideologica del paese creando un flusso regolare di disinformazione attraverso il loro dichiarato sostegno ai processi show del governo.

Questi processi vengono infatti spesso messi in atto per soddisfare i fini dei gulenisti. Figure prominenti ora detenute, come il giornalista Nedim Sener ed il commissario della polizia Hanefi Avci, sono stati imprigionati dopo aver messo alla luce gli illeciti della polizia gulenista e dei procuratori. Gli editoriali di Zaman, il quotidiano della rete gulenista in lingua turca, non misurano neanche più le parole: si sta creando una nuova Turchia, chi si mette di mezzo avrà ciò che si merita.

Erdoðan ha tratto enormi benefici dal sostegno gulenista, tuttavia non sopporta di dover condividere il potere e rimane sospettoso nei confronti del movimento. Nella fase iniziale è riuscito a sfruttare con successo i procedimenti giudiziari politici sostenuti dai gulenisti per demonizzare l’opposizione. Ma con l’allargarsi degli ambiti e dell’implausibilità delle accuse, le relazioni con i militari, i liberali a livello nazionale e gli attori esterni, come i media stranieri e l’Unione europea, si sono complicate a causa dei processi. Inoltre, gli individui vicini a lui e alla sua amministrazione sono rimasti invischiati recentemente nella rete di manipolazione giudiziaria, il che fa presumere che stia perdendo il controllo sulla polizia e sui tribunali speciali.

Dato che la lotta contro il nemico comune -la vecchia guardia laica- è stata definitivamente vinta, forse è ormai inevitabile un’eventuale rottura tra Erdoðan ed i gulenisti. Purtroppo, indipendentemente da quale parte ne uscirà vincitrice, il risultato non sarà comunque positivo per la democrazia turca.

Per gli amici turchi che si trovano all’estero è tempo di assumere un atteggiamento di fermezza. Rispetto al crescente autoritarismo turco l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno reagito finora solo con qualche vaga dichiarazione di preoccupazione. Nessun funzionario ha espresso critiche simili alla condanna del Ministro degli Affari Esteri svedese, Carl Bildt, nei confronti del processo show in Ucraina del suo ex Primo Ministro Yuliya Tymoshenko, o alle dichiarazioni schiette del Segretario di Stato degli Stati Uniti, Hilary Clinton, sulla corrosione dello stato di diritto da parte del Presidente russo Vladimir Putin. Inoltre, i rapporti UE sul progresso della Turchia hanno continuato, inverosimilmente, a considerare i processi di Ergenekon -fortemente sostenuti dai gulenisti- come un’opportunità per rafforzare lo stato di diritto.

Non è passato tanto tempo da quando la Turchia sembrava essere un faro luminoso della democrazia e della moderazione in una regione abituata all’autocrazia e al radicalismo. Ora sembra più essere un paese che va verso l’autoritarismo all’interno e l’avventurismo all’esterno.

E’ comprensibile che gli europei e gli americani non vogliano offendere una potenza regionale. Ma facendo il gioco di Erdoðan si finisce solo per rafforzare il suo senso di invincibilità, non si porta avanti la causa della democrazia in Turchia né si fa di lei un alleato più affidabile.

Dani Rodrik, professore di politica economica internazionale presso l’Università di Harvard, è autore di The Globalization Paradox: Democracy and the Future of the World Economy (Il paradosso della globalizzazione ed il futuro dell’economia mondiale, ndt).

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgTraduzione di Marzia Pecorari

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