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Questo articolo è stato pubblicato il 07 marzo 2012 alle ore 07:00.

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Nuova composizione sociale sorta da trasformazioni demografiche profonde. Crescita concentrata della popolazione, modernizzazione molecolare della famiglia, secolarizzazione dei costumi, impatto delle migrazioni fino al 15% degli abitanti. È qui che il modello della crescita quantitativa illimitata incontrando il suo limite territoriale e sociale e la crisi, vive oggi una fase di disincanto.
Enzo Rullani ha scritto che per scalare le filiere globali, le imprese venete devono non solo fare rete e qualità di prodotto, ma soprattutto modernizzare il loro ponte di comando inglobando il general intellect cresciuto nella trasformazione terziaria della società.

Occorrerà capire se la nebulosa delle città medie pedemontane sceglierà la via del rafforzamento di una comune identità metropolitana come smart city a rete mettendo a valore l'atout dell'alta qualità della vita, oppure se prevarrà la forza attrattiva centrifuga delle due global city che già esistono ai suoi confini, a ovest Milano e a nord Monaco. E che ne sarà di Venezia intesa non come città-museo ma città-snodo polo dell'immateriale, della creative economy, dell'industria culturale e dell'intrattenimento.
Una trasformazione necessaria se non si vuole aprire una inedita contraddizione tra società in via di terziarizzazione e mondo imprenditoriale che a volte stenta a capire come assorbire questa intelligenza sociale. Occorre andare oltre il vecchio patto sociale manifatturiero che ha retto fino alle soglie del nuovo millennio ma oggi non tiene più. Un patto tra soggetti del locale che legava le filiere e le medie imprese internazionalizzate alla pancia del capitalismo molecolare e che non garantiva solo la crescita dei fatturati ma la legittimità politica e sociale di un modello che produceva consenso, coesione e mobilità sociale: in una parola ceto medio diffuso.

Oggi quel ciclo è finito. E fa le sue vittime nel popolo dei capannoni. Dove anche i suicidi di quelli che hanno vissuto l'impresa come comunità di destino si fanno sussurri locali. Bene ha fatto un'associazione imprenditoriale a chiamare un famoso psichiatra a discutere tra i suoi associati. Anche questo è fare rappresentanza.
Il patto si è incrinato alle fondamenta introducendo sul fronte dell'impresa la polarizzazione tra un'avanguardia agente cresciuta e che ha accettato di praticare lo scenario della globalizzazione e una grossa fetta del popolo della subfornitura che nella crisi è rimasto avvitato alla dimensione locale. L'intreccio tra impresa e società si è fatto antropologia del quotidiano al punto che il destino della manifattura veneta non è solo questione economica ma questione sociale aperta.

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