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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2012 alle ore 16:55.

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Ma c’è ragione di essere ottimisti. Il genio è uscito dalla bottiglia, e la gente sa di avere il potere per rovesciare i governi, e in generale conosce l’impatto del proprio attivismo politico. È per questo motivo che ha continuato a riempire Piazza Tahrir ogni volta che l’esercito ha cercato di consolidare il proprio potere e sopprimere i dissidenti.

Sebbene sia il popolo egiziano a decidere il destino del Paese e a fare passi decisivi verso istituzioni politiche più inclusive, ciò non significa che gli outsider non possano fare nulla. Noi possiamo fare molto – anche se nulla di tutto ciò sarà cruciale per il risultato finale.

Gli Usa, ad esempio, offriranno ancora oltre 1,5 miliardi di dollari di aiuti all’Egitto quest’anno. Ma chi riceverà davvero questi aiuti? Sfortunatamente non il popolo che sta cercando di cambiare il futuro del Paese, ma l’esercito egiziano e gli stessi politici che hanno governato l’Egitto sotto il precedente regime.

Dovremmo almeno garantire al popolo egiziano di non sostenere più la repressione. Che non significa tagliare gli aiuti esteri. Anche se gli aiuti esteri non trasformeranno da soli la società o l’economia dell’Egitto, e sebbene alcuni di essi andranno inevitabilmente persi e finiranno nelle mani sbagliate, possono ancora fare qualcosa di buono. Fatto più importante, gli Usa e la comunità internazionale possono lavorare per garantire che la maggior parte dei fondi non vadano all’esercito e ai soliti politici, bensì alle cause e ai gruppi popolari.

Gli aiuti esteri possono altresì essere utilizzati come piccolo incentivo al dialogo nazionale in Egitto. Potrebbero, ad esempio, essere gestiti da un comitato di rappresentanti provenienti da diverse fazioni sociali, inclusi i gruppi della società civile al centro delle rivolte e i Fratelli musulmani, mettendo in chiaro che se il comitato non riuscirà a trovare un accordo, gli aiuti non verranno sborsati. Tale situazione indurrebbe l’esercito e le élite a collaborare con quei gruppi di opposizione che tanto desiderano estromettere.

Oltre a unire allo stesso tavolo gruppi importanti ma politicamente emarginati, un comitato di questo tipo potrebbe anche dimostrare il successo della condivisione del potere in un piccolo ambiente, magari incoraggiando tale pratica in modo evidente. Non si tratterebbe di un intervento dall’esterno in grado di curare da un giorno all’altro i mali derivanti da secoli di repressione e sottosviluppo, ma noi dovremmo smettere di cercare una panacea inesistente e fare qualcosa di meglio che alimentare l’esercito egiziano.

Traduzione di Simona Polverino

Daron Acemoglu e James A. Robinson sono coautori di Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity, and Poverty.

Copyright: Project Syndicate, 2012.www.project-syndicate.org

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