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Questo articolo è stato pubblicato il 29 marzo 2013 alle ore 12:49.

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In secondo luogo, il sistema finanziario cinese è fragile e la sua struttura economica rigida. Di conseguenza, l’economia cinese è altamente vulnerabile alla fuga di capitali. Negli ultimi anni la vulnerabilità finanziaria della Cina è aumentata, con una stima del debito societario superiore al 120% del Pil e una base monetaria (M2) superiore al 180% del Pil. All’inizio del 2012 le problematiche in cima all’agenda della Cina erano il debito del governo locale, le reti creditizie clandestine e le bolle immobiliari. Ora alla lista si aggiunge anche l’aumento delle attività del sistema bancario ombra. Senza controlli sui capitali, un imprevedibile shock potrebbe causare una fuga di capitali su larga scala, con una serie di conseguenze: la svalutazione monetaria, tassi di interesse alle stelle, lo scoppio di bolle finanziarie, la bancarotta e il default per le imprese finanziarie e non finanziarie e, infine, il collasso del sistema finanziario cinese.

Una terza ragione per rallentare la presa sui controlli di capitale è che le riforme economiche della Cina restano incomplete, con i diritti sulla proprietà non ancora chiaramente definiti. Tra l’ambiguità sulla proprietà e la corruzione dilagante, il libero flusso di capitali oltre i confini nazionali incoraggerebbe il riciclaggio di denaro sporco e l’appropriazione illecita di asset, che scatenerebbero tensione sociale.

Infine, con oltre 3,3 trilioni di dollari in riserve estere, la Cina rappresenta una meta particolarmente allettante per gli speculatori internazionali. A causa del suo sistema finanziario sottosviluppato e dei suoi mercati di capitale inefficienti, la Cina non sarebbe in grado di reggere a un attacco simile a quello che ha scatenato la crisi finanziaria asiatica senza la protezione dei controlli sui capitali. Inoltre, anche senza un forte attacco speculativo l’arbitraggio del tasso di cambio e del tasso di interesse agevolato dall’internazionalizzazione del renminbi hanno imposto perdite significative alla Cina.

Certamente un approccio cauto non deve impedire progressi positivi verso la liberalizzazione dei conti capitale. Ma serve un quadro generale per determinare la tempistica di ogni fase politica, basata su una rigorosa analisi costi/benefici. Mentre alcune misure che la Pboc ha intrapreso sotto l’egida della liberalizzazione dei conti capitale si sono rivelate sia necessarie che adeguatamente moderate, altre dovrebbero essere rivalutate e annullate.

Oggi, mentre le maggiori economie sviluppate ricorrono alla politica monetaria espansionistica, l’economia globale viene inondata da un eccesso di liquidità, e una guerra delle valute si profila all’orizzonte. Di conseguenza, gli afflussi di capitale a breve scadenza, siano essi alla ricerca di un porto sicuro o rivolti al carry trade, sono destinati a diventare più ampi e più volatili.

In queste circostanze, con il sistema finanziario cinese troppo fragile per reggere agli shock esterni e l’economia globale precipitata nel caos, la Pboc sarebbe poco saggia a scommettere sull’abilità della rapida liberalizzazione dei conti capitale di generare un sistema finanziario più sano e robusto. I policy maker dovrebbero invece prestare la giusta attenzione nel perseguire la liberalizzazione finanziaria. Considerato l’ampio programma di riforme della Cina e in vista degli ambigui benefici e dei significativi rischi legati alla liberalizzazione, un’ulteriore apertura dei conti capitale può e deve attendere.
Traduzione di Simona Polverino

Yu Yongding è stato presidente della China Society of World Economics e direttore dell’Istituto di economia e politica mondiale presso l’Accademia cinese di scienze sociali. È stato anche membro del Comitato di politica monetaria della People’s Bank of China.

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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