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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2013 alle ore 09:59.

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Che cosa bisognerebbe fare allora per fare in modo che questa inversione di rotta nella politica monetaria produca risultati? Bisogna riconoscere che l'ostacolo di fondo è strutturale e risiede in un settore delle imprese ormai disfunzionale.

Andrew Smithers, della Smithers & Co, e Charles Dumas, della Lombard Street Research, recentemente hanno sostenuto più o meno la stessa tesi. Il risparmio privato in Giappone – generato quasi integralmente dalle imprese – è di gran lunga troppo alto rispetto alle opportunità di investimento plausibili. La somma di ammortamento e capitale di risparmio delle imprese giapponesi nel 2011 arrivava alla sbalorditiva percentuale del 29,5 per cento del Pil, contro il 16 per cento negli Stati Uniti, che pure sono alle prese anche loro con un problema di surplus finanziario delle imprese.

Il sistema economico giapponese è una macchina fatta apposta per generare un elevato tasso di risparmio nel settore privato. Un'economia matura, con una popolazione in invecchiamento, non è in grado di fare un uso produttivo di questi risparmi. Come fa notare Dumas, gli investimenti lordi in capitale fisso delle imprese in America negli ultimi 10 anni sono stati in media del 10,5 per cento del Pil, contro il 13,7 per cento in Giappone. Eppure la crescita economica negli Usa è stata di gran lunga superiore. Le corporations giapponesi evidentemente investono troppo, non troppo poco. Non si può pensare che alzando il tasso di investimento, per assorbire una parte maggiore dell'eccesso di risparmio delle imprese, non si accresca lo spreco.

Nel breve termine, tassi di interesse reali negativi potrebbero far crescere un po' gli investimenti, perché i risparmi frutterebbero meno. Me nel medio-lungo termine gli investimenti delle imprese nipponiche dovrebbero diminuire. Dal momento che i risparmi delle famiglie sono bassi e la loro disponibilità a indebitarsi è molto contenuta, rimangono solo altre due aree che possono assorbire l'enorme eccesso di risparmio delle imprese: gli stranieri e lo Stato.

Lo Stato in pratica lo ha già fatto in gran parte nel corso degli ultimi due decenni. Per questo il disavanzo di bilancio è regolarmente elevatissimo e il debito pubblico è in costante aumento. Nel contempo, il surplus con l'estero è diminuito, a causa del peggioramento dei termini di scambio e dell'andamento insoddisfacente del volume delle esportazioni. Anche in questo caso una svalutazione dello yen dovrebbe essere di aiuto, ma non più di tanto. L'attivo nel saldo con l'estero necessario per assorbire l'eccesso di risparmio del settore privato e generare l'attivo di bilancio necessario per abbassare il rapporto debito/Pil sarebbe di almeno il 10 per cento del Pil e il Giappone, che è ancora un'economia abbastanza chiusa, non è in grado di generare questa eccedenza. E se fosse in grado, sicuramente il resto del mondo non la assorbirebbe.

Ne consegue che il Giappone ha un bisogno disperato di riforme strutturali, ma non di riforme strutturali qualsiasi. Ha bisogno di riforme che riducano l'eccesso di risparmi delle imprese e al tempo stesso facciano aumentare il tasso di crescita tendenziale dell'economia. Questa combinazione dovrebbe essere possibile, perché il Pil pro capite del Giappone (a parità di potere d'acquisto) è sceso al 76 per cento di quello americano e il suo Pil per ora lavorata appena al 71 per cento. Fra le opzioni a disposizione delle autorità ci sono: una riduzione di larga portata degli ammortamenti fiscali, una tassazione punitiva sul capitale di risparmio, possibilmente abbinata a incentivi per un aumento degli investimenti e una riforma della corporate governance per dare più potere agli azionisti. Lo scopo sarebbe privare le aziende di quel cuscinetto di liquidità che ha favorito l'inefficienza. L'incremento delle imposte peggiore che si possa immaginare è quello sui consumi pianificato dal Governo giapponese, perché il Giappone consuma troppo poco. Quello che bisogna tassare sono invece i risparmi delle imprese.

Queste sarebbero davvero riforme radicali. C'è una minima possibilità che Shinzo Abe si muova in questa direzione? No. Ma senza queste riforme, la nuova linea della Banca del Giappone si dimostrerà, nella migliore delle ipotesi, un palliativo di breve durata, e nella peggiore delle ipotesi un disastro inflattivo. Intanto la Cina farebbe bene a prendere nota che è questo il risultato finale di un'economia costruita in modo da favorire gli investimenti e reprimere i consumi. È un'ottima strategia per colmare il divario con i Paesi ricchi, ma una volta che la crescita veloce finisce, si lascia dietro grossissimi grattacapi.

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