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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2013 alle ore 17:02.

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Se un governo eletto vuole che una banca dia credito ad un tasso d’interesse basso ad un gruppo di imprese in modo tale che possano assumere più persone, per quale motivo un supervisore dovrebbe avere la possibilità di ostacolare questa volontà popolare? Anche nel caso in cui a queste imprese venisse detto di assumere i sostenitori del partito al governo come requisito implicito con il fine di ottenere un credito agevolato, si tratterebbe sempre dell’espressione della volontà popolare legittimata attraverso il voto elettorale.

All’estremo opposto ci sono invece i difensori tecnocrati degli enti regolatori che credono che i politici e l’elettorato siano inguaribilmente confusi, ignoranti e spesso corrotti. La gestione dell’economia dovrebbe essere affidata, secondo loro, ad esperti competenti e indipendenti, ovvero ad un gruppo di Guardiani Platonici con il potere di agire nei più alti interessi dello stato indipendentemente dal risultato elettorale o dall’opinione pubblica.

Il Fondo Monetario Internazionale, la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea sono spesso viste come istituzioni tecnocratiche che sostengono l’elemento tecnocratico all’interno degli stati e delle società di tutto il mondo. Nel picco della crisi dell’eurozona, l’FMI, la CE e la BCE (per non parlare dei mercati finanziari) hanno visto di buon grado l’arrivo degli economisti Mario Monti e Lucas Papademos come primi ministri tecnocrati altamente stimati rispettivamente dell’Italia e della Grecia.

L’esperienza degli ultimi decenni ha dimostrato che un approccio equilibrato e moderato è necessario per affrontare queste questioni. I cicli elettorali (e le conseguenti pressioni politiche) comportano necessariamente una supervisione da parte di chi ha una competenza professionale ed una prospettiva ben più lunga di quella dei politici sulla politica monetaria, sulle banche e su molte altre aree dell’attività economica e politica.

La politica quotidiana non può dominare il processo di regolamentazione di cui i mercati hanno bisogno. La riforma istituzionale più importante per la stabilità dei prezzi in tutto il mondo è stata infatti un’indipendenza sempre maggiore delle banche centrali.

Ma se ai tecnocrati indipendenti viene data la possibilità di determinare la politica a lungo termine e di fissare degli obiettivi che non possono essere influenzati dalle maggioranze democratiche, allora la stessa democrazia è in serio pericolo. Trovo che non sia democratico, ad esempio, che la BCE possa fissare il target per l’inflazione su tutta l’eurozona unilateralmente. Il livello d’inflazione che una società considera desiderabile o tollerabile (considerando altre variabili importanti come l’occupazione, la crescita del PIL o la povertà) è una questione del tutto politica che dovrebbe essere discussa in Parlamento. La banca centrale dovrebbe ovviamente essere consultata, ma il suo ruolo dovrebbe essere quello di implementare l’obiettivo prefissato senza alcuna interferenza politica; un’indipendenza quindi sugli strumenti da utilizzare e non sugli obiettivi.

La globalizzazione e la crescente complessità dei mercati finanziari e degli altri mercati rendono imperativo il fatto di chiarire gli ambiti dell’attività privata, del processo decisionale politico e della regolamentazione. La sfida è persino più ampia in quanto alcune agenzie di regolamentazione devono essere necessariamente multilaterali o almeno intergovernative, vista la natura globale di gran parte dell’attività economica. La differenza e la distanza tra i mercati e la politica deve essere chiara e, a beneficio sia dell’efficacia sia della legittimità, deve essere fondata su regole ben comprensibili e sul consenso popolare.

Traduzione di Marzia Pecorari

Kemal Derviº, ex Ministro turco per gli Affari Economici ed ex amministratore del United Nations Development Program (UNDP), è Vice Presidente del Brookings Institution.

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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