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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2013 alle ore 16:17.

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Alcuni policymaker a Bruxelles stanno iniziando gradualmente a riconoscere che dei prezzi più bassi per l’energia elettrica possono andare a vantaggio dell’economia. Ma la maggior parte crede ancora che la tutela della società e dell’ambiente dagli effetti più ampi del business energetico debba avere priorità sullo sviluppo dell’industria e della più ampia crescita economica. Pensano ancora che una forte ripresa e la creazione di nuovi posti di lavoro possano emergere con le proprie forze. Di conseguenza, invece di godere di una crescita sostenibile, l’Europa sta andando verso un modello per cui il termine stagnazione sostenibile sembra essere più che appropriato.

Quest’approccio comporta una colossale perdita di soldi. Come osserva Bjørn Lomborg del Copenhagen Consensus Center: L’Unione europea pagherà 250 miliardi di dollari all’anno per le sue attuali politiche sul clima per circa 87 anni. Per una somma pari a circa 20 trilioni di dollari le temperature verranno invece ridotte per un valore trascurabile pari a 0.05ºC entro la fine del secolo. Per contro, l’UE ha stanziato la somma irrisoria di 8 miliardi di euro nell’arco di sette anni per ridurre la disoccupazione giovanile che al momento, in alcuni stati membri, è pari quasi al 60%.

Ma l’economia dell’Europa non crescerà, così come non verrà creato un numero sufficiente di posti di lavoro se queste industrie vitali, come l’alluminio, l’acciaio, i carburanti, la plastica ed il cemento, non verranno aiutate a crescere. Questa prospettiva sarebbe negativa non solo per l’economia, ma anche per l’ambiente, in quanto queste industrie non faranno altro che spostarsi nei mercati con record ambientali ben peggiori.

Il problema non è la mancanza di capitale d’investimento. Nel 2011, i bilanci delle società per azioni europee registravano una disponibilità di 750 miliardi di euro pari al doppio della riduzione degli investimenti nel settore privato dell’UE tra il 2007 ed il 2011. Ma nonostante lo stato disperato delle finanze pubbliche, il bisogno impellente di crescita e di nuovi posti di lavoro e, storicamente, di tassi di interesse bassi, le autorità non stanno facendo niente per incoraggiare gli investimenti.

I governi dell’Europa hanno urgente bisogno di fare una revisione radicale delle normative, in particolar modo nelle industrie che hanno un grande impatto sull’economia in termini più ampi. E dopo sessant’anni di intromissioni, i policymaker dell’UE dovrebbero farsi da parte e analizzare quali restrizioni sono diventate dannose o irrilevanti e come sostenere al meglio gli imprenditori e le industrie del futuro.

Gran parte del lavoro preparatorio è già stato fatto dall’OCSE che ha individuato alcuni , ovvero: gli obiettivi economici, in particolar modo crescita e competitività, devono avere la stessa importanza degli obiettivi sociali ed ambientali; i benefici di un regolamento devono giustificarne i costi; le normative dovrebbero essere riviste di frequente e si dovrebbe condurre un’analisi costi-benefici di tutte le alternative (anche per arrivare semplicemente alla conclusione di mantenere lo status-quo).

Con il 7% della popolazione globale, il 25% del PIL globale ed il 50% della spesa globale per il welfare, l’UE ha creato un modello che è di ispirazione per milioni di persone che sognano di emigrare in Europa. Ciò nonostante, l’enfasi storica dell’UE sull’ottenimento degli obiettivi sociali, fino ad escludere le necessità di lungo termine delle aziende, sta indebolendo tutto il progetto europeo. L’UE non può essere la patria inclusiva, fiorente e democratica che milioni di persone sognano, se permette alla burocrazia di strangolare le industrie che sono essenziali per la prosperità europea.

Traduzione di Marzia Pecorari

Jacek Krawiec è Amministratore delegato e Presidente del Management Board della raffineria di petrolio polacca PKN ORLEN.

Copyright: Project Syndicate, 2013.