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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2014 alle ore 18:11.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 14:25.

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Ci sono, almeno dal 2011, diverse testimonianze a livello mondiale di questo divario di genere, ma i dati relativi all’ambito, alle dimensioni e alle cause di questo divario sono tuttavia limitati. Per aiutare a capire meglio il problema, la Banca Mondiale e la hanno condotto recentemente uno studio senza precedenti sulle sfide che le lavoratrici agricole si trovano ad affrontare.

Il evidenzia da subito un elemento importante: il divario di genere è reale e in alcuni casi estremo. Quando si paragonano i lavoratori e le lavoratrici agricole sulla base di appezzamenti di terreno di simili dimensioni e condizioni, il divario di produttività può arrivare fino al 66%, come in Niger.

In passato, gli esperti credevano che le aziende agricole delle donne producessero di meno perché le lavoratrici agricole avevano più difficoltà di accesso ai fattori produttivi come i fertilizzanti, l’acqua e persino le informazioni disponibili. Ma ora sappiamo che la situazione è ben più complicata. Con i nuovi dati alla mano possiamo vedere che, sorprendentemente, il divario di produttività continua ad esserci anche quando le lavoratrici agricole hanno accesso agli stessi fattori produttivi. Le ragioni specifiche variano di paese in paese, ma molte di esse derivano da norme culturali radicate che impediscono alla donna di raggiungere il proprio potenziale.

Ad esempio, il rapporto ha evidenziato che le donne hanno difficoltà a mobilitare la forza lavoro necessaria a far progredire l’azienda agricola. Le donne hanno poi maggiori responsabilità nella crescita dei figli e nella cura della casa rispetto agli uomini, il che rende difficile dedicare maggior tempo al lavoro agricolo o supervisionare la forza lavoro assunta. Il problema è aggravato poi dal fatto che le donne hanno a disposizione un reddito inferiore che non permette loro di assumere lavoratori.

Fortunatamente, i nuovi dati non indicano solo la complessità e la profondità del problema, ma individuano anche opportunità concrete per sviluppare delle politiche che diminuiscano il divario di genere affinché il potenziale del settore agricolo sia a disposizione di tutti gli agricoltori africani.

In alcuni luoghi, ciò potrebbe significare dover insegnare ai divulgatori agricoli come rendere i loro messaggi più rilevanti per l’audience femminile, o incoraggiarli a fare le loro visite in orari in cui le donne sono con più probabilità a casa. In altri luoghi, potrebbe invece voler dire favorire l’accesso delle donne ai mercati, oppure introdurre strumenti di semplificazione del lavoro per aiutarle a sfruttare al massimo i terreni.

In altri casi, potrebbe invece comportare l’istituzione di centri infantili per la comunità, in modo tale che le lavoratrici agricole possano scegliere di dedicare più tempo all’agricoltura. In ogni caso, questa politica comporta necessariamente che i policy maker africani riconoscano alle lavoratrici agricole il ruolo che hanno, ovvero quello di partner economici essenziali.

A giugno, i leader di tutta l’Africa si incontreranno a Malabo, nella Guinea Equatoriale, per definire l’agenda della politica agricola dei prossimi dieci anni. Se l’obiettivo è il raggiungimento del potenziale del settore agricolo africano e la continuità della crescita africana, i policy maker dovrebbero considerare i bisogni degli agricoltori come Joyce. La sua è una storia di successo che può, e anzi deve, essere replicata in tutto il continente.

Traduzione di Marzia Pecorari

Melinda Gates è co-presidente della Bill & Melinda Gates Foundation.

Copyright: Project Syndicate, 2014.

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