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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2014 alle ore 16:32.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 14:16.

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Ma dal punto di vista delle imprese, le cose sembrano piuttosto diverse. Per una piccola azienda spagnola o italiana, il differenziale del tasso di interesse rimane sempre alto. Un prestito alle imprese non garantito costerà ad una società dell’Europa meridionale due punti percentuali in più rispetto alla sua omologa sul Reno, anche se le due società hanno un rating simile. Fino al 2010, il divario era di pochi punti base. È esploso nel 2011 e da allora non si è ridotto.

Questo rappresenta un grave svantaggio competitivo da aggiungere alla penalizzazione di essere a una distanza maggiore dal centro economico della UE. Se persiste, si rafforzerà la crescente divisione europea tra coloro che hanno e coloro che non-hanno.

Come può un tale differenziale persistere in quello che dovrebbe essere un unico mercato finanziario integrato? La risposta, naturalmente, è che la zona euro non è nulla di simile, almeno non ancora. La crisi di fiducia nel settore bancario della UE scoppiata nel 2010 non è ancora stata risolta. Le banche europee sono ancora riluttanti a concedersi prestiti l’un l’altra, soprattutto oltre frontiera. Sospettano che alcune delle loro controparti siano deboli e vulnerabili, e hanno poca fiducia nella volontà delle autorità nazionali di vigilanza bancaria di rivelare la verità e di richiedere interventi di bonifica. Così le banche tedesche con eccedenze di liquidità preferiscono depositarle presso la BCE piuttosto che renderle operative in Italia o in Grecia.

L’unione bancaria è stata concordata al fine di correggere il problema, con la BCE in prima linea in quanto unico supervisore di tutte le principali banche europee. Ma il mercato segnala con chiarezza che l’unione bancaria non ha ancora compiuto il proprio lavoro - anzi, questo non è affatto completo. Ci sono perplessità circa la mancanza di un sistema unificato di tutela dei depositi, la disponibilità di fondi per lo scioglimento di istituti in fallimento, e sul fatto che l’approccio della BCE sia abbastanza rigoroso da individuare le componenti deboli, costringerle a ricapitalizzare, e quindi ricostruire la fiducia.

Il test chiave arriverà questo autunno, quando la BCE renderà noti i risultati dell’esame della qualità del suo assetto patrimoniale. Mi aspetto che i supervisori siano rigorosi: la credibilità della loro istituzione dipende da ciò. Ma le autorità di vigilanza e i governi nazionali conservano un ruolo significativo. Saranno pronti ad essere onesti e, cosa più importante, disposti e in grado di aiutare i feriti ad aumentare il capitale?

Le recenti emissioni di obbligazioni da parte della banca italiana Monte dei Paschi di Siena ed altre hanno dimostrato che il finanziamento per le banche è costoso. È necessario offrire agli investitori forti sconti per convincerli a separarsi dai propri soldi. Di conseguenza, alcune banche che sospettano che i loro bilanci si rivelino più deboli di quanto finora sperimentato, tagliano sui prestiti. Le continue contrazioni sul credito sono uno dei motivi per cui alcune componenti dell’economia europea restano deboli.

Così i tre problemi che l’Europa dovrà affrontare nella seconda metà di quest’anno sono strettamente collegati. La UE avrà bisogno per la sua leadership della squadra più forte che sia in grado di trovare per una guida attraverso acque infide e l’attuazione delle riforme finanziarie decisive. In questo momento, i segnali sono tutt’altro che promettenti. Ci sono poche facce o idee nuove all’orizzonte. Dobbiamo sperare di venire sorpresi.

Howard Davies, ex presidente della Financial Services Authority del Regno Unito, Vice Governatore della Banca d’Inghilterra, e Direttore della London School of Economics, è Professore alla Sciences Po di Parigi.
Copyright: Project Syndicate, 2014.

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