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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2014 alle ore 21:00.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 14:04.

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La concordanza tra gli economisti può sorgere per ragioni buone e cattive. A volte l’accordo è abbastanza innocuo, come nel caso in cui si sente affermare che chi ignora il ruolo degli incentivi lo fa a proprio rischio e pericolo. In effetti, chi può non condividere questa affermazione? A volte esso è limitato ad un episodio particolare e si basa su prove accumulate dopo che il fatto è già avvenuto: Sì, il sistema economico sovietico era estremamente inefficiente; sì, nel 2009 gli incentivi fiscali di Obama hanno fatto ridurre la disoccupazione.

Ma quando il consenso si forma intorno all’applicabilità universale di un modello specifico, le cui ipotesi critiche è probabile che siano violate in molti contesti, abbiamo un problema

Consideriamo alcuni degli ambiti di largo accordo elencati sopra. La proposizione che le restrizioni commerciali riducono il benessere economico non è certamente generalmente valida, ed è violata quando sono presenti determinate condizioni – come esternalità o crescenti rendimenti di scala. Inoltre, si richiede che gli economisti formulino giudizi di valore sugli effetti distributivi, che è preferibile lasciare agli stessi elettori.

Allo stesso modo, la posizione secondo cui i controlli sugli affitti riducano l’offerta di alloggi è violata in condizioni di concorrenza imperfetta. E l’idea che i tassi di cambio fluttuanti siano un sistema efficace si basa su ipotesi circa i meccanismi del sistema monetario e finanziario che si sono rivelati problematici; credo che oggi un sondaggio riscontrerebbe un sostegno a questa tesi significativamente inferiore rispetto al passato.

Forse gli economisti tendono a concordare sul fatto che alcune ipotesi siano più diffuse nel mondo reale. O pensano che un insieme di modelli funziona mediamente meglio di un altro. Anche così, come gli scienziati, non dovrebbero adornare le loro specializzazioni con i caveat del caso? Non dovrebbero preoccuparsi che affermazioni categoriche come quelle di cui sopra potrebbero rivelarsi fuorvianti almeno per quanto riguarda determinati assetti?

Il problema è che gli economisti spesso confondono un modello per il modello. Quando ciò accade, il consenso non è certamente qualcosa di cui rallegrarsi.

Due tipi di problemi ne possono poi conseguire. In primo luogo, ci sono errori di omissione - casi in cui i punti ciechi del consenso impediscono agli economisti di essere in grado di vedere i problemi incombenti nel futuro. Un esempio recente è il fallimento degli economisti nel saper cogliere la pericolosa convergenza di circostanze che ha prodotto la crisi finanziaria globale. La svista non era dovuta tanto alla mancanza di modelli su bolle, informazione asimmetrica, incentivi distorti, o corse agli sportelli. Era piuttosto rapportabile alla sottostima di tali modelli rispetto ad altri che enfatizzavano i mercati efficienti.

Inoltre ci sono gli errori di commissione – i casi in cui l’ossessione degli economisti per un particolare modello del mondo li impelaga nella difesa di politiche il cui fallimento si sarebbe potuto prevedere prima. Il sostegno da parte degli economisti alle politiche neoliberiste denominate Washington Consensus e alla globalizzazione finanziaria rientra in questa categoria. Quello che è successo in entrambi i casi è che gli economisti hanno trascurato gravi complicazioni del tipo second best, come nel caso di esternalità di apprendimento ed istituzioni deboli, che hanno indebolito le riforme e, in alcuni casi, ne hanno causato rese controproducenti.

Le controversie tra gli economisti sono positive. Esse riflettono il fatto che la loro disciplina comprende una variegata gamma di modelli, e che la corrispondenza tra realtà e modello è una scienza imperfetta, con grandi margini d’errore. È meglio che le persone siano esposte a questa incertezza piuttosto che cullate da un falso senso di sicurezza basato sulla apparenza di conoscenze certe.

Dani Rodrik, Professore di Scienze Sociali presso l’Institute for Advanced Study di Princeton, New Jersey, è l’autore di The Globalization Paradox: Democracy and the Future of the World Economy.
Copyright: Project Syndicate, 2014.

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