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NELLA FABBRICA DEL riciclo

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2010 alle ore 08:22.

Michael Biddle CON MBA POLYMERS HA INDUSTRIALIZZATO LA PRODUZIONE DI PLASTICA RICICLATA Nella zona industriale di Kematen, lungo l'autostrada fra Vienna e Salisburgo, i frigoriferi arrivano nei container dall'Austria, dalla Germania e dalla Slovenia. Poi vengono impilati in un'enorme montagna bianca e uno a uno decontaminati dal freon, disassemblati con cura e fatti a pezzettini. Il gas responsabile del buco dell'ozono viene aspirato dai circuiti e imbottigliato nelle bombole per dimostrare quanto ne è stato rimosso, invece di disperderlo in atmosfera: la competitività dell'impianto poggia proprio sulla capacità di tirarne fuori più degli altri. I materiali utili invece vengono separati e ridotti in frammenti di qualche centimetro: ferro, metalli non ferrosi come il rame o l'alluminio, plastica e un triste mucchietto di polistirene polverizzato, che non si può ancora riciclare.
«Stiamo cercando di piazzarlo come materiale inerte da utilizzare nel mix del battuto di ghiaia con cui si fanno le strade», spiega Bernhard Schuh, direttore dell'impianto Ufh Recycling, che smaltisce gli elettrodomestici obsoleti di un consorzio di grandi produttori, obbligati dalla normativa europea a farsi carico della fine vita dei loro prodotti. In Italia c'è un consorzio analogo, Ecodom, che sta tentando di organizzare la stessa filiera: gli elettrodomestici obsoleti, che arrivano alle isole ecologiche, vengono smistati a vari impianti simili a Ufh Recycling, ma molto più piccoli.
La differenza sta soprattutto nella diversa efficacia della raccolta: in Italia non si va oltre i quattro chili pro capite all'anno, quando le stime indicano un volume effettivo di 15 chili a testa. Nei Paesi scandinavi si riesce a raccogliere quasi tutto, in Austria 10 chili pro capite e la media europea sfiora i 6 chili. Dove vanno a finire quegli 11 chili che in Italia mancano all'appello? «Nei circuiti illegali o in discarica, con l'effetto di disperdere nell'ambiente i materiali e i gas dannosi utilizzati all'interno di molti elettrodomestici», precisa Piero Moscatelli, presidente di Ecodom. A Kematen, invece, la sistematizzazione del processo è già molto sviluppata. I metalli e le plastiche usciti da Ufh Recycling non hanno bisogno di andare lontano: a cinquanta metri di distanza c'è una fabbrica specializzata nel riciclo dei metalli e più vicino ancora c'è uno dei sei stabilimenti europei capaci di riciclare la plastica.

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«Costruire bene le cose è complicato, ma disfarle bene è ancora più complicato», fa notare Chris Slijkhuis, direttore dello stabilimento Mba Polymers. Disfarle significa separare i materiali di cui sono fatte per rimetterli in circolo come fossero nuovi. Per i metalli c'è già da tempo un mercato consolidato, ma per le plastiche industriali l'interesse è recentissimo. Michael Biddle, ingegnere californiano fondatore della Mba Polymers, è stato pioniere dei processi industriali necessari per rendere remunerativa la plastica industriale riciclata. Nei suoi impianti, in California, in Austria e nel Guangzhou, la plastica arriva ancora mischiata a frammenti di metallo, legno o vetro e dev'essere depurata con sistemi meccanici e fisici. Poi le diverse resine vengono ordinate in tre categorie principali: Abs, Hips e polipropilene, suddivise per colore, estruse e ridotte in granulato con le stesse proprietà della plastica vergine. «Per essere competitivi, dobbiamo produrre plastiche di ottimo livello ma più economiche dell'originale», spiega Chris Slijkhuis.
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Il vantaggio del riciclo Plastica verde. Per produrre una tonnellata di plastica ci vogliono 900 litri di petrolio, 180 metri cubi d'acqua e 14mila kwh. Per una tonnelllata di plastica riciclata, invece, servono 2 tonnellate di plastica usata, 1 metro cubo d'acqua e 950 kwh di energia. In Europa su consumano ogni anno 40 mln di tonnellate di plastica.