Il Sole 24 Ore
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20 maggio 2010

State Street: «L'Italia è una scelta strategica»

Mario Platero


NEW YORK. Jay Hooley è un tipo deciso, lo vedi dal tono della voce, dalla stretta di mano, della incisività del suo pensiero. È l'amministratore delegato di State Street, uno dei colossi mondiali nel settore banca depositaria e ha appena completato l'acquisto delle attività di banca depositaria di Intesa Sanpaolo con un investimento di 1,28 miliardi di euro, che gli consente sul piano globale di chiudere il cerchio strategico sul mercato europeo.

C'è da chiedersi se da dicembre quando ha firmato l'acquisto e adesso, con l'Europa in crisi e l'euro in picchiata, non abbia avuto qualche ripensamento. Ma quando lo incontriamo a New York, dove si trova di passaggio da Boston, la sede di State Street, guarda solo in avanti: «Siamo una delle banche più vecchie d'America, 215 anni, fondati nel 1792. Il breve termine non ci interessa. E l'investimento in Italia fa parte della nostra strategia di lungo termine. Ora mi dica: guardando al lungo termine, cambiano le esigenze degli italiani per la gestione delle pensioni? Cambiano le prospettive dell'Italia e dell'Europa come uno dei più grandi mercati mondiali nel contesto delle economie industriali mature? Secondo me no. L'Europa resta, i suoi cittadini restano. E dunque l'Europa e l'Italia restano per noi mercati strategici».
Hooley ha i nervi saldi anche per ciò che riguarda il pericolo di un ritorno della crisi economica e finanziaria. Certo, il vento tagliente in arrivo dall'Europa è pericoloso, ma di nuovo, secondo lui il peggio della crisi è superato, si stanno affrontando le code, aggiustando gli scompensi. Negli Stati Uniti si cerca il rilancio dell'occupazione. E dunque ci vorrà qualche tempo. Ma, di nuovo, nel contesto di una visione di lungo termine lo sbarco in Italia, l'infusione di un capitale di 450 milioni di euro consente al gruppo americano di migliorare le economie di scala e il posizionamento di mercato.
«La State Street – sottolinea – ha oggi completato la parte principale del suo percorso europeo iniziato nel 2003 con l'acquisto delle attività di banca depositaria da Deutsche Bank, siamo presenti in Gran Bretagna, Irlanda, Francia. Siamo un gruppo che gestisce operazioni di custodia per 20mila miliardi di dollari, abbiamo un fatturato di quasi 10 miliardi di dollari, e nel nostro settore poter operare sui grandi numeri è essenziale».
Ma per Hooley ci sono almeno altri due aspetti positivi in questa operazione e nelle condizioni attuali dell'Europa. Il primo è che la caduta dell'euro da dicembre a oggi ha fatto risparmiare al suo istituto quasi 300 milioni di dollari in differenza cambio. Il secondo è che le operazioni di Intesa Sanpaolo depositaria, che includono ovviamente uffici e un personale di 529 persone potranno diventare la piattaforma di lancio per una delle altre attività principali del gruppo, quella della gestione di portafoglio di fondi comuni di investimento: «In effetti – dice Hooley – le nostre attività sono per l'80% nella custodia nelle sue varie forme diversificate di servizi finanziari, ma per il 20% operiamo nella gestione e abbiamo fondi in gestione per 1.900 miliardi di dollari, siamo così il secondo più importante gestore di fondi dopo Blackrock e il principale fornitore di Etf e l'Italia per noi era il tassello mancante su cui far crescere tutte le nostre attività». Anche in questo caso, osserva Hooley, l'Italia con un buon tasso di risparmio e una buona propensione all'investimento conservatore, rappresenta un mercato molto importante.
C'è ovviamente un'altra dimensione nello sviluppo strategico di un gruppo come State Street a livello globale, con presenze dunque anche in Oriente e in tutti i mercati più importanti, quello delle regole, del controllo. Oggi State Street è il secondo operatore globale nel settore di banca depositaria dietro Bank of New York Mellon. Ha superato di gran lunga Jp Morgan Chase e Citigroup. Ma se in questa marcia verso la concetrazione ci fosse nei mega-istituti un errore tecnico, elettronico o umano come abbiamo visto un paio di settimane fa, non si rischia, per via delle dimensioni enormi amministrate, il pericolo di una crisi sistemica? Di una paralisi anche temporanea delle chiusure? O delle verifiche dei valori? L'esempio più ecltante resta quello di Madoff, che forniva rapporti dettagliatissimi e puntuali ai suoi clienti con riferimenti alle conferme delle operazioni da parte della banca depositaria che in quel caso era Jp Morgan Chase. Ma le verifiche non coincidevano. Le perdite per i clienti sono state secondo alcune stime per decine di miliardi di dollari: «Da noi questo non potrebbe succedere. Intanto operiamo in compartimenti stagni per settore, servizi. Inoltre siamo sempre all'avanguardia nella gestione elettronia delle operazioni grazie a investimenti ingenti. Questo ci consente di guadagnare tempo e rapidità ma anche sicurezza. Nel caso di Madoff, mi creda, avremmo visto subito le discrepanze dei prezzi dichiarati sia in termini di valore che di ammontari acquistati e avremmo avvertito i clienti. È il nostro mestiere».
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20 maggio 2010