"L'importante era capire a chi apparteneva lui, quali potenze della tenebra lo rivendicassero come loro proprietà. Quella era la riflessione che vi faceva rabbrividire. Era impossibile e anche malsano cercare di indovinarlo. Aveva occupato un posto molto elevato fra i demoni di quel paese".
"Lui", nel romanzo di Joseph Conrad "Cuore di tenebra", è Kurtz, misterioso personaggio che controlla il traffico d'avorio.
Nel libro "Crude World, The Violent Twilight of Oil" (Knopf Publishing), del giornalista americano Peter Maass, Lui è il petrolio. Non gli "oilmen", gli uomini che gravitano nell'orbita del petrolio – "come la gravità influenza tutto ciò che facciamo" - quelli che "preferiscono trattare con i dittatori piuttosto che ucciderli", che, anche nel caso della Libia, hanno fatto pressione per abolire le sanzioni che impedivano di lavorarci. La radice del male è quella densa sostanza: il petrolio. "Quale puro concentrato di denaro e potere è pericolosissimo perché amplifica le peggiori pulsioni umane".
Le analogie tra i cuori di tenebra descritti da Conrad e Maass sono inquietanti. Come la base di Kurtz è occulta in un'inestricabile e malsana foresta, così sembra che "Dio abbia giovato un crudele scherzo all'umanità celando tante preziose sostanze in luoghi così ostili". Per gli indigeni Kurtz è divenuto una specie di divinità; per chi lo controlla, il petrolio "può divenire un amuleto politico che lo protegge dall'abbandono o dalla punizione". Una volta penetrati nel cuore di tenebra, però, si scopre che sta spegnendosi: Kurtz è quasi in fin di vita, in preda a un'apparente follia. Come il petrolio sembra aver raggiunto il suo picco e appare destinato – secondo Maass e i sostenitori della tesi del "peak oil" - a esaurirsi in un tempo relativamente breve, in un "Violent Twilight", un violento crepuscolo.
Il crepuscolo del petrolio, tuttavia, può essere considerato come una sorta di Grazia Divina. Tale appare a Maass. Ci disintossicherà dalla dipendenza da una sostanza "che induce alla violenza", che ha avvelenato l'ambiente e la politica, che ha reso infinitamente peggiore la vita di milioni di persone. Esorcizzerà quella che è stata definita "la maledizione delle risorse".
Secondo Maass, stiamo vivendo le ultime, fuggevoli decadi dell'"era del petrolio". Un prodotto che l'ex ministro venezuelano Juan Pablo Perez Alfonzo chiamò "l'escremento del diavolo" e che Maass definisce "ossigeno nero" poiché è divenuto indispensabile alla nostra vita quanto l'aria che respiriamo, benché gli effetti sulle nazioni che lo producono e sui maschi super-alfa che dominano l'industria petrolifera sia quantomeno sinistro.
Il petrolio corrompe, sostiene Maass, perché è un'industria "estrattiva". La ricorrente tragedia del petrolio è che produce ricchezza ma non ciò che è più necessario nei paesi poveri: il lavoro. Una volta che i pozzi o le raffinerie sono stati costruiti, bastano pochi uomini a mandarli avanti. In tal modo il denaro estratto si riversa su imprese straniere ed è risucchiato da regimi avidi. "Il potere si concentra nelle mani del re, del dittatore o del primo ministro che controlla il territorio e col quale si può trattare anche il più sporco degli affari". Come nel caso della Guinea Equatoriale, dove "Il governo americano pagava l'affitto per la sua ambasciata a un ministro accusato di essere un torturatore".
Salvo poche eccezioni, come la Norvegia o gli Emirati Arabi Uniti, quindi, il petrolio non benedice le nazioni da cui è estratto. "Al contrario: la maggior parte dei paesi petroliferi sono condannati a una condizione di cleptocrazia di pochi, di povertà per la maggioranza, di arretratezza cronica e, cosa peggiore di tutte, di perdita di un'anima nazionale".
In questo "carnevale di peccati", il peccato maggiore è che "il petrolio porta più problemi che prosperità": invasione, povertà, fondamentalismo, inquinamento, anarchia, guerra civile. "Il petrolio indebolisce i legami tra i governi e il popolo, inondando di denaro le casse pubbliche, rafforzando in modo artificiale la valuta locale, quindi rendendo poco competitivo il resto dell'economia ed eliminando la necessità di una spesa saggia. Tutto ciò lacera le società, rendendole vulnerabili alla guerra civile". Tesi confermata da Paul Collier, economista della World Bank: "la dipendenza da commodities primarie aumenta il rischio di conflitto, salvo che tali prodotti siano estremamente abbondanti, com'è il caso dell'Arabia Saudita. In una nazione con alta dipendenza da commodities primarie (circa il 30% del prodotto interno) il rischio è del 23%".
Il libro di Maass, proprio come il romanzo di Conrad, ci conduce all'interno di questo cuore di tenebra, con una serie di storie che rappresentano il devastante impatto del petrolio sui paesi produttori: "La realtà è fantastica solo nel peggiore dei modi". È un'avventura in un mondo popolato da personaggi ben più pittoreschi di Gheddafi: signori della guerra, petro-miliardari, spie, mercenari, trafficanti, faccendieri, politici e uomini d'affari corrotti e corruttori che prendono "orribili decisioni", dove "il diavolo veste in giacca e cravatta", dove "Qual è la tua cifra? Ossia: quanto mi costa corromperti?" non è una domanda ipotetica. Dove "Avere un'anima è un lusso".
L'itinerario tra i petrodisastri parte dal patio dell'hotel Bahia di Malabo, la capitale della Guinea Equatoriale, là dove nel 1970 Frederick Forsyth scrisse gran parte del suo romanzo sui mercenari "I mastini della Guerra". Un paese dove la concorrenza tra Cina e Stati Uniti per i diritti petroliferi ha fatto la fortuna di Teodoro Obiang, dittatore che appare come "una diabolica reincarnazione di Pol Pot e Idi Amin". Il viaggio di Maass raggiunge quindi la Nigeria, paese che negli ultimi anni ha incassato 400 miliardi di petrodollari e dove l'80% degli introiti è andato all'1% della popolazione, dove 9 persone su 10 vivono con meno di 2 dollari il giorno, dove un bambino su 5 muore prima dei 5 anni. È poi la volta dell'Azerbaijan, all'Intourist Hotel, dove alloggiavano i mercenari che combattevano nella guerra contro l'Armenia, dove un uomo d'affari concluse una trattativa puntando la pistola alla testa del suo interlocutore. Un "toxic tour" sulle rive del lago Atrio, in Ecuador, rivela gli effetti devastanti del petrolio sull'ecosistema amazzonico, dove gli uomini vivono in un'atmosfera di realismo magico, quasi protagonisti di un libro di Garcia Marquez. In Venezuela assistiamo ai vaneggiamenti gesticolanti del presidente Hugo Chavez, che ha reincarnato il socialismo in forma di farsa. A Riyadh ascoltiamo le vaghe risposte dei responsabili del ministero del petrolio circa le riserve saudite. In Iraq, a Washington, a Mosca, tra cospirazioni della CIA e dell'ex KGB, Maass intreccia politica e affari, delinea le contraddizioni geopolitiche e umanitarie degli ultimi cinquant'anni, che in tempi più recenti hanno subito una brusca accelerazione in nome dei "valori universali".
Paradossalmente, in questa trama d'intrighi Maass non cede agli stereotipi politicamente corretti. Le compagnie petrolifere, pur presentate nel loro lato più oscuro, complici delle nuove guerre asimmetriche, fornitrici di NLW, nonlethal weapons (ad esempio il supporto logistico a forze governative e/o ribelli), non appaiono l'incarnazione del Male Assoluto. Dopo tutto, nota Maass, fanno quello che deve fare ogni società: massimizzare i profitti. Il problema è che ciò accade in alcune delle nazioni più corrotte del mondo. Né sembrano comportarsi meglio le compagnie nazionalizzate che stanno rimpiazzando le multinazionali private.
Il problema, nel libro di Maas, è un altro. "È che non elabora a sufficienza", nota Robert Kaplan, giornalista e ricercatore del Center for a New American Security. "Non approfondisce, non ci dà un accenno di ciò che sarà il panorama geopolitico, quando la produzione petrolifera raggiungerà il suo picco e comincerà a diminuire. E conclude ‘Crude World' con una visione di mulini a vento nella California del sud, icona di nuove fonti energetiche…". La sua debolezza, per Kaplan e altri commentatori, è che non propone alternative convincenti, e alla fine si dimostra soprattutto un ambientalista intransigente: cambieremo perché dobbiamo farlo.
In realtà è proprio questo l'elemento di forza del libro di Maass: non ti lascia altra scelta se non quella di preoccuparti. Si può dissentire sulle conclusioni, sulle analisi. Ma i fatti che descrive sono difficilmente contestabili e la geopolitica attuale lo conferma all'estremo. Il che dovrebbe indurre a riflessioni sui nuovi equilibri strategici.
È quanto ha fatto, ad esempio, l'economista Edward L. Morse (prossimo Managing Director e responsabile ricerche sulle commodities di Citigroup). Secondo Morse "la probabilità di un'apocalisse petrolifera non è più implausibile". In tale scenario i disordini interni possono condurre a guerre civili che a loro volta possono condurre a una cessazione o una riduzione della produzione. "Con i disordini che si diffondono in Medio Oriente e Nord Africa, il 2011 può rivelarsi un anno fatidico per la geopolitica globale del petrolio come lo fu il 1971". La guerra in Libia può avere conseguenze ancor più gravi sul costo del greggio: quello libico, infatti, è di alta qualità (solo il 25% della produzione globale ha le stesse caratteristiche), il più adatto a essere trasformato in carburante. Le dimostrazioni in Bahrain, invece, possono creare instabilità nella regione ponte verso la provincia orientale dell'Arabia Saudita, là dove sono concentrate le maggiori riserve petrolifere di quel paese. Lo spettro delle rivolte nei paesi del Golfo, inoltre, mette a rischio la sicurezza dello Stretto di Hormuz, dove transita il 75% del petrolio consumato in Asia. Tutta da dimostrare, infine, la capacità dell'Arabia Saudita di rimpiazzare le perdite libiche producendo 12.5 milioni di barili il giorno.
Ancor più catastrofico Michael T. Klare, professore di studi sulla pace e sulla sicurezza mondiale e autore del saggio "Blood and Oil". In un articolo sul sito di controinformazione TomDispatch.com, parla di "collasso del vecchio ordine petrolifero", di "fine dell'era del petrolio", considera tutto ciò che sta accadendo come i primi sussulti di un "oilquake", un petromoto che scuoterà il pianeta sino al nocciolo. Secondo Klare, quindi, bisogna elaborare una nuova geopolitica dell'energia. Il che significa che America, Cina e Russia convertano le energie e gli immensi capitali spesi in armamenti (da 100 a 150 miliardi di dollari annui per gli Usa) per il controllo delle risorse nello sviluppo di fonti energetiche alternative e più efficienti sistemi di trasporto.
Intanto la maledizione delle risorse continua a colpire. Proprio in questi giorni la PetroChina Company, controllata della China National Petroleum Company, gigante petrolifero di stato, ha siglato un accordo con la Saudi Aramco, la compagnia di Stato saudita (nonché la più ricca del mondo, con un capitale stimato tra 2.2 e 7 trilioni di dollari) per rifornire di petrolio la provincia meridionale dello Yunnan. Il greggio arriverà con un oleodotto attraverso la Birmania, evitando la lunga rotta via mare attraverso il congestionato Stretto di Malacca. Denuncia l'organizzazione Democratic Voice of Burma: "Nonostante la dimensione delle economie coinvolte, si stima che circa 15.000 persone perderanno la loro terra e i mezzi di sussistenza. Spesso senza compenso". A volte pagando questo privilegio col lavoro forzato.
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