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Questo articolo è stato pubblicato il 26 aprile 2011 alle ore 07:46.

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Wall Street, tornano i titoli a rischioWall Street, tornano i titoli a rischio

Anche il movente finanziario sottostante è lo stesso che tre anni fa portò al boom dei mutui ipotecari subprime: chi genera il deal raccoglie una ricca commissione senza rischiare il proprio denaro. Con i Cdo, le grandi banche di investimento compravano mutui subprime, li impacchettavano e rivendevano sul mercato frazioni di quelle nuove confezioni, trasferendo così ad altri il rischio di mutui ad altissimo rischio di mora. Adesso le grandi banche concedono prestiti istituzionali cov-light e poi li trasformano in prestiti sindacati rivendendoli a pezzi e bocconi ad altre banche. La differenza - non insignificante - è che in questo caso non si impacchettano prodotti tossici come i mutui subprime e il contenuto di ogni pacchetto confezionato è trasparente. Ma la tecnica di fondo rimane quella che con rara eleganza il furbetto del quartierino Stefano Ricucci definì «fare il frocio con il culo degli altri».

«Per molte banche la percentuale di reddito che deriva da deal di questo genere è molto alta. È quindi logico che ci siano fortissimi incentivi a farne sempre di più. E sempre più rischiosi», osserva l'analista, che sottolinea il cambiamento di umore del settore: «Nel 2008 il mercato reagì alla crisi con panico eccessivo fino a paralizzarsi. Ma adesso sembra quasi di essere tornati al 2007. Come se negli ultimi tre anni non fosse successo nulla. Lo definirei uno stato di follia versione light».

Altro indicatore di follia-light viene dal ritorno di operazioni estremamente aggressive di dividend lending, e cioé prestiti per pagare dividendi, una prassi da tempo diffusa ma che prima della crisi era arrivata a superare ogni limite di ragionevolezza (o decenza) finanziaria. Un esempio: nel dicembre 2005 un consorzio di private equity comprò dalla Ford la società di auto a noleggio Hertz Corp e sei mesi dopo, con un megaprestito, si concesse un dividendo di un miliardo di dollari, pari a quasi la metà dell'intero investimento.

L'operazione di dividend lending completata nel marzo scorso dal fondo di private equity newyorkese American Securities sulla Fairmount Minerals, società dello Ohio produttrice di sabbie industriali, non è stata molto meno aggressiva. Sette mesi dopo aver comprato il 51% di Fairmount Minerals grazie a un prestito di 750 milioni di dollari, American Securities ha ricapitalizzato la società con un prestito un miliardo, e si è concesso un generoso dividendo di 300 milioni.

«Noi siamo per principio contrari al dividend lending perché si prendono soldi in prestito per aumentare i rendimenti degli azionisti ma non si accresce il flusso di cassa che serve a pagare gli interessi del nuovo debito», ha detto al Wall Street Journal Mark Shenkman, presidente di Shenkman Capital Management.

I dati sui volumi dei prestiti per dividendi sono emblematici. Secondo S&P Lsd, divisione specializzata di Standards & Poors, dopo quasi tre anni di stallo, sia nell'ultimo trimestre del 2010 sia nel primo del 2011 i prestiti per dividendi o acquisto di titoli propri sono stati di circa 17 miliardi di dollari. Cifra non lontana dal record assoluto di 25,8 miliardi raggiunto nel primo trimestre 2007. E cioè alla vigilia del crack.

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