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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2011 alle ore 08:10.

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I promotori più avveduti dell'eurobond sostengono che essi porteranno un vantaggio in termini di liquidità. Certo, il mercato degli eurobond sarebbe sicuramente più esteso e liquido di quello dei titoli finnici od olandesi, ma è difficile pensare a un effetto superiore a 30-40 punti base (0,3-0,4 per cento), chiaramente non abbastanza per compensare questi Paesi per l'aumento delle garanzie che devono estendere al Sud Europa. E gli eurobond non sarebbero certo più liquidi del Bund tedesco: per la Germania non c'è dunque nemmeno la piccola consolazione di un modesto effetto liquidità.

Nonostante la straordinaria ipocrisia del dibattito, la realtà incontrovertibile è dunque che gli eurobond, come l'Efsf, comportano un forte trasferimento di risorse da Germania e altri Paesi verso il Sud Europa, in palese violazione della seconda promessa. C'è da stupirsi che spagnoli e italiani siano entusiasti fautori dell'eurobond, mentre i tedeschi sono molto più freddi? A parti invertite, politici, economisti e giornalisti italiani farebbero esattamente lo stesso dei tedeschi. E ne abbiamo un esempio concreto: quando l'Argentina fece default sui suoi bond, non ci risulta che alcun politico o commentatore italiano abbia proposto una emissione congiunta di bond italo-argentini per aiutare quel Paese; anzi, molti cavalcarono la protesta dei tanti cittadini italiani che rimasero presi nel default, e non ebbero alcuna pietà per un Paese in gravissima difficoltà.

Le scelte della Bce
È opinione diffusa che la Bce possa contribuire a salvare i Paesi a rischio a costo quasi zero. Questa opinione è errata. Per comprenderlo, pensiamo a come opera la Bce. Quando compra titoli di Stato italiani per 20 miliardi, come in questi giorni, la Bce può pagarli vendendo altre attività meno rischiose, come titoli tedeschi, per 20 miliardi, oppure creando base monetaria. Nel primo caso non cambia il passivo totale della Bce, ma solo la composizione dell'attivo: il suo attivo è diventato più rischioso. Cosa succede se l'Italia fa default, diciamo del 50%? L'attivo della Bce scende di 10 miliardi e quindi la Bce va ricapitalizzata di 10 miliardi. Ancora una volta, il costo viene sopportato dal contribuente tedesco, esattamente come nel caso di Efsf ed eurbond, violando la seconda promessa.

La Bce può anche comprare titoli creando base monetaria. È quello che oggi si chiama pomposamente quantitative easing, ma non è altro che la monetizzazione del debito tanto popolare nell'Italia degli anni Settanta. Come ben sappiamo, ciò rischia di generare inflazione, violando la prima promessa fatta con l'introduzione dell'euro. Finora gli Stati Uniti hanno evitato questo rischio perché le banche tengono l'enorme liquidità parcheggiata presso la Banca centrale, ma fino a quando? Il rischio dell'uscita dal quantitative easing è elevato.

Inoltre, gli acquisti della Bce sono utili per calmare i mercati per qualche ora, ma hanno effetti minimi. La Bce ha acquistato titoli greci, portoghesi e irlandesi per 74 miliardi, con gli effetti che sappiamo. Per avere effetti tangibili sul debito italiano e spagnolo, occorrerebbero svariate centinaia di miliardi, che la Bce non può né vorrà mai sborsare.

Il problema tedesco (e più globalmente europeo) non è quindi solo un problema economico, ma anche un grosso problema politico. Salvare l'euro violando le promesse fatte all'elettorato può causare la nascita di un partito antieuropeo in Germania. Tutti i Paesi del Nord Europa ce l'hanno, tranne la Germania, dove la destra xenofoba vive ancora dei complessi di colpa. Fino a quando?

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