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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2011 alle ore 07:39.

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La doppia via degli eurobond (Reuters)La doppia via degli eurobond (Reuters)

Le proposte sugli eurobond hanno il grande merito di ricordare a tutti quanto sia difficile allontanare le minacce dei mercati sulla moneta unica senza una politica comune sul debito sovrano. In questo senso va anche considerato l'EuroUnionBond di Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio.
Questa via "alta" di consolidamento dell'area economica europea si scontra però con la realtà dell'arena politica. Due flash sul susseguirsi delle notizie di ieri. Il primo è sull'ondivago dilettantismo della nostra maggioranza che invano cerca di conciliare i conflitti d'interesse con proposte parziali, non approfondite e che non sono in grado di stabilizzare in modo strutturale i saldi né di favorire la crescita.

Il secondo è sul Bundestag, che si appresta a dibattere l'approvazione del contributo della Germania al rifinanziamento per 440 miliardi dell'European Financial Stability Fund (Efsf). La maggioranza di Governo propone d'introdurre un diritto di veto del Parlamento tedesco a qualunque intervento del Fondo concordato dai leader europei.
Dov'è la realtà? Nei vestiti gessati dei banchieri centrali e degli organismi internazionali, ossia nella sofisticata architettura degli accordi globali dove si cerca di trovare nell'interesse collettivo soluzioni condivise tra Paesi molto diversi? Oppure nella canottiera di Bossi e dei suoi - più compìti - colleghi italiani e tedeschi, ossia il sudore quotidiano dell'arena politica, dove nulla può essere concesso che possa turbare gruppi di interesse ed elettori? Tutt'e due contano: sarà difficile varare qualunque eurobond senza una sintesi tra il gessato e la canottiera.

La componente più innovativa della proposta di Prodi e Quadrio, quella che la differenzia dalle altre, è nei fatti rendere lo strumento autonomo, ossia dotato di un capitale che ne isoli le eventuali perdite dai soldi dei contribuenti (oltre alla dotazione di capitale iniziale).
Diversi commentatori hanno già evidenziato le difficoltà tecniche di questo meccanismo - dall'aleatorietà di attribuire un valore diverso dal mercato ai titoli delle società pubbliche, al costo istituzionale di utilizzare l'oro delle banche centrali a scapito della loro autonomia - e non voglio tornare su questi punti che condivido. Vorrei invece discutere l'aspetto sostanziale della proposta, ossia l'idea di superare l'ostacolo del dissenso politico nei Paesi forti con le garanzie reali dei contributi di capitale.

Come hanno spiegato bene Roberto Perotti e Luigi Zingales, il capitale di garanzia degli EuroUnionBond non basterebbe a neutralizzare il meccanismo fondante dell'obbligazione europea, ossia impedire che i Paesi con merito di credito migliore garantiscano di fatto per gli altri. E dunque a evitare che la canottiera dei politici dei Paesi forti richieda di fatto la sovranità sulla politica fiscale di quelli deboli, vedi la proposta di diritto di veto sull'Efsf del Parlamento tedesco.
Deve essere ben chiaro infatti che in queste condizioni di profonda asimmetria nei conti pubblici dei Paesi dell'euro, un accordo esteso come quello necessario a varare il Fondo finanziario europeo trasferirebbe di fatto la sovranità fiscale dei membri non a Bruxelles, bensì a Berlino - il garante supremo. La strategia di procedere all'integrazione "di soppiatto", come acutamente indicato da Carlo Bastasin, non può insomma aggirare l'ostacolo del consenso politico nei Paesi forti.

Ecco allora che ragionando sugli eurobond capiamo che i politici dei Paesi deboli sono di fronte a un dilemma tragico. Il default perché hanno perso ogni credibilità. Oppure la perdita di sovranità e leve politiche a favore dei Paesi forti, se vogliono soccorso. Esiste però una terza via, l'unica percorribile se si vuole varare una politica fiscale europea il cui asse di sovranità sia a Bruxelles e non a Berlino e così proteggere l'euro: l'adozione di misure serie e credibili di contenimento strutturale dei saldi pubblici e che allo stesso tempo favoriscano la crescita. Insomma la logica della canottiera non può che infine convergere a quella del gessato.
Il disegno di uno strumento potente di gestione del debito sovrano dell'area dell'euro potrà essere efficace solo quando i Paesi membri avranno individualmente a livello nazionale fatto la loro parte per stabilizzare in modo credibile i propri conti.

Ahinoi, il dibattito politico di questi giorni in Italia ci dice invece che la logica della canotta, seppure rivestita delle grisaglie di Tremonti o dei doppiopetti di Berlusconi, non soccombe e prosegue cieca in proposte inconcludenti e senza coraggio, che non fanno altro che aumentare l'incertezza. E anche l'opposizione non pare particolarmente costruttiva. In questo modo anche il più ottuso e anti-europeo dei parlamentari tedeschi avrà buon gioco ad usare il suo diritto di veto a scapito dell'integrazione europea.
In conclusione, gli eurobond sono senz'altro uno strumento potenzialmente utilissimo per la gestione del debito, comunque disegnati, ma non possono essere un'alternativa all'azione della politica nazionale. E allo stesso modo non potranno essere varati a scapito del consenso politico degli Stati membri. Trovare questa sintesi non è certo facile, ma neppure impossibile. Se tutti individualmente si muovessero su un asse di misure di aggiustamento e riforme strutturali condivise, sarebbe poi più semplice trovare anche il consenso per una gestione comune del debito e forse anche per varare misure di maggiore integrazione del mercato comune.

barba@unimi.it

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