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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2011 alle ore 06:43.

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Operazioni complesse. Che non comportavano alcun rischio. Che non producevano alcun profitto. Che, secondo la Procura di Milano, non avevano alcuna giustificazione economica. Tranne una: comportavano un enorme vantaggio fiscale per il gruppo UniCredit. E, di conseguenza, un danno per lo Stato.

È così che ieri il Gip di Milano Luigi Varanelli, su richiesta del Procuratore aggiunto Alfredo Robledo, ha disposto il sequestro preventivo di una somma pari a 245 milioni di euro nei confronti del gruppo UniCredit: la somma è stata «prelevata» nel conto dell'istituto di Piazza Cordusio presso la Banca d'Italia ed è stata trasferita in un conto bloccato messo a disposizione dell'autorità giudiziaria.
La Procura ipotizza il reato di «dichiarazione fiscale fraudolenta»: reato punibile – legge alla mano – con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. E gli iscritti nel registro degli indagati sono eccellenti: da Alessandro Profumo (ex amministratore delegato di UniCredit) e buona parte dei top manager del gruppo, fino a tre dirigenti di Barclays (che hanno confezionato l'operazione con UniCredit). Venti banchieri in tutto.

Brontos e il fisco
La vicenda che ha portato a questa decisione storica (è la prima volta che avviene un sequestro di questo tipo) risale al 2007, 2008 e 2009. In quegli anni Barclays e UniCredit costruiscono operazioni complesse, chiamate «Brontos», che secondo la Procura di Milano servivano solo per pagare meno tasse in Italia. Il grimaldello di questa "magia" era semplice: Barclays e UniCredit sfruttavano la differente imposizione che esiste tra i normali interessi e i dividendi azionari. Gli interessi sono interamente imponibili, mentre i dividendi – in Italia – sono deducibili fiscalmente al 95%: cambiare nome, trasformando interessi in dividendi, insomma non era questione di semantica. Ma di soldi.

Per fare questa "magia", per cambiare nome agli interessi, UniCredit e Barclays hanno imbastito complessissime operazioni. Le «Brontos». Che coinvolgevano società in Gran Bretagna, in Lussemburgo. Che riguardavano l'emissione di titoli atipici (i Profit participation instruments), denominati il lire turche. Data la natura atipica di questi titoli, entrambe le banche potevano giocare sull'equivoco e considerare gli interessi pagati da questi titoli come semplici dividendi azionari. E la "magia" era fatta: Barclays e UniCredit avevano il diritto di esenzione in Italia dalle imposte sul 95% dell'ammontare dei dividendi incassati. E di risparmiare sulle tasse.

L'accusa e la difesa
Dietro questo complesso meccanismo – secondo l'accusa della Procura di Milano – si celava in realtà un banale deposito interbancario. L'operazione «Brontos», insomma, era un banale investimento in un deposito interbancario presso Barclays che – «artatamente» secondo il Gip – trasformava gli interessi in dividendi. E consentiva a UniCredit – sempre secondo il Gip – un «abusivo risparmio di imposta sul 95% dei proventi ricevuti». Insomma: «L'operazione Brontos fu architettata – continua il Gip – per realizzare una capziosa evasione fiscale grazie alla fraudolenta trasfigurazione degli interessi di un deposito interbancario in dividendi di titoli fittizi».
Così, dopo una lunga indagine, il Procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che ha lavorato con la Polizia Tributaria di Milano, ha iscritto 20 banchieri nel registro degli indagati.

E ieri ha ottenuto il sequestro preventivo di 245 milioni dal conto presso la Banca d'Italia di UniCredit. Si tratta, secondo i calcoli della Procura, del "profitto" derivante dall'evasione fiscale. Ovviamente secondo l'accusa. UniCredit ieri sera si è detta «molto sorpresa per questa iniziativa, che non cambia la convinzione della banca circa la correttezza del proprio operato e di quello dei propri dipendenti». Barclays, interpellata, ieri sera non ha invece commentato. Sarà l'iter giudiziario a dire chi abbia ragione.

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