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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2011 alle ore 13:59.

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Lorenzo Bini SmaghiLorenzo Bini Smaghi

D. Lei è stato uno dei più netti oppositori di questo coinvolgimento nel caso greco e della sua introduzione nel meccanismo di salvataggio Esm. Ora questo è stato parzialmente corretto. Ritiene che la visione Sua e della Bce sugli effetti di contagio sia stata in questo modo "vendicata" e non c'è comunque il rischio che a questo punto i mercati non credano più che si tratti di un'opzione utilizzabile solamente per la Grecia?

R. È vendicata un anno dopo, e tanti punti di spread dopo. Un'analisi dei dati mostra che gli spread hanno cominciato ad ampliarsi proprio dopo quell'accordo di Deauville, al quale ci eravamo fortemente opposti. I capi di Stato dicono ora di avere cambiato parere, ma ci vorrà molto per recuperare la credibilità persa in questo anno.

D. Lei è stato contrario anche, all'inizio della crisi, al coinvolgimento del Fondo monetario, le cui risorse, finanziarie e di know-how, si sono poi rivelate importanti. Ora il vertice europeo ha deciso di fornire all'Fmi 200 miliardi di euro, attraverso le banche centrali nazionali, anche in vista di possibili ulteriori interventi nell'eurozona. Come giudica questa decisione?

R. L'Europa evidentemente ha bisogno di un "poliziotto" esterno, perché non ha il coraggio di disciplinare con le proprie procedure chi non allinea i propri comportamenti e politiche alle esigenze della moneta unica. Non si è ancora capito che l'unione monetaria è anche unione politica, e che le interferenze degli altri paesi sono parte integrante, anche se talvolta spiacevole, di tale unione. È paradossale dare potere al "poliziotto" Fmi, che è in gran parte influenzato da interessi statunitensi e asiatici.

D. Una delle cause alla radice della crisi dell'eurozona sono gli squilibri di competitività. Eppure, su questo, a livello europeo non è stata presa alcuna decisione.

R. Il pacchetto di riforme approvate lo scorso anno prevede una procedura speciale di sorveglianza degli squilibri interni, in particolare per quel che riguarda la competitività. Ma, in fin dei conti, dovrebbero essere i Paesi stessi a mettere l'accento sulle problematiche connesse alla competitività. I nuovi vincoli di bilancio pubblico sono più stringenti per i Paesi che non sono competitivi. La competitività dovrebbe essere l'obiettivo numero uno per ogni Paese, perché è la condizione per crescere in un’economia globale. Nella prima intervista che feci nel 2005, poche settimane dopo il mio insediamento, dissi che il problema principale dell'Italia era la perdita di competitività e che bisognava mettere in atto con urgenza riforme del mercato del lavoro mettendo al centro proprio la competitività. Alcuni storsero il naso, ma oltre sei anni dopo il giudizio rimane immutato ed è ora condiviso. Peccato che dal 2005 ad oggi abbiamo perso altri 12 punti di competitività rispetto alla Germania, e 6 rispetto alla media dell'area dell'euro.

D. C'è chi ha commentato che l'accordo dell'ultimo Consiglio europeo rende l'Europa più tedesca.

R. È una valutazione profondamente sbagliata. Rende l'Europa più responsabile nei confronti dei suoi figli, imponendo l'equilibrio di bilancio, e pone al centro dell'agenda di politica economica la competitività globale. Alcuni Paesi, come la Germania, l'Austria, la Finlandia l'avevano posta da tempo. E infatti hanno superato la crisi meglio di altri: la disoccupazione è bassa, i sistemi sociali stabili, la previdenza è staa ristrutturata, l’istruzione offre opportunità a tutti. L’Europa ha le risorse per salvarsi da sola. I cittadini devono capire che va rimesso in discussione un modello di sviluppo e di welfare in cui si scaricava tutto sul settore pubblico, sull’indebitamento, sulle generazioni future. Ora siamo arrivati alla generazione che quel debito deve ripagarlo.

D. Finora Lei ha taciuto sulle circostanze della Sua uscita dalla Bce. Non crede sia opportuno spiegarle?

R. Ringrazio per la domanda, perché mi consente di chiarire qualcosa che non è stato capito in Italia in questi mesi e riguarda una questione di etica professionale. Un banchiere centrale fa ricorso ai mezzi di comunicazione esclusivamente per motivi istituzionali, in particolare per spiegare la politica monetaria, e non può farne un uso personale, nemmeno per difendersi da accuse ingiuste, pretestuose e con evidenti secondi fini. Questo è il motivo per cui durante questi mesi ho mantenuto il riserbo e non ho mai commentato.

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