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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2013 alle ore 14:27.

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Un canale alternativo al credito per rilanciare l'industria italiana in cerca di un mercato «mirato»

Per far partire veramente le mini-obbligazioni, emesse dalle imprese piccole, serve però un passo in più: devono nascere o arrivare in Italia investitori specializzati. Fondi in grado di analizzare aziende piccole, con team dedicati a questo, disposti a comprare tanti bond anche da un milione di euro l'uno. Questo è un lavoro svolto, per esempio, dai credit funds: fondi, che esistono già all'estero, che erogano credito direttamente (in Italia è quasi impossibile) o indirettamente (sottoscrivendo mini-bond emessi ad hoc dalle imprese). Su questo fronte, come si vede nelle schede a fianco, di iniziative in Italia ce ne sono tante. Poche sono già partite, ma molte sono in rampa di lancio.

I passi ancora da muovere
Eppure anche questo non basta per far sbocciare un mercato nuovo. Tutti i fondi che stanno nascendo in Italia puntano infatti per ora su una tipologia molto ristretta di imprese da finanziare: solo aziende medie (non piccole) e quasi sempre esportatrici (dunque il meno esposte possibile sull'economia italiana). Per di più tutti questi fondi, anche quelli di matrice estera, stanno raccogliendo capitali italiani: non portano quindi soldi dall'estero. E quasi tutti cercano garanzie pubbliche, per ridurre i rischi, rivolgendosi per esempio dalla Sace. Insomma: quello che si sta sviluppando è un embrione del mercato. Eppure tanti osservatori ne sono convinti: da questo embrione crescerà qualcosa di buono. Che potrà sostituire 50-100 miliardi di crediti bancari in meno.
Affinché questo accada è però necessario che sia reso possibile ed economicamente interessante l'investimento dei grandi soggetti non bancari italiani in questi credit funds. Per questo servono modifiche legislative per permettere per esempio alle compagnie assicurative di entrare in questo mercato: «Attualmente – spiega Massimo Figna, fondatore di Tenax Capital – l'effetto combinato tra la direttiva europea di Solvency 2 e una circolare emessa dall'Ivass qualche mese fa, rende molto complicato l'investimento delle assicurazioni in credit funds». Idem per i fondi pensione. La rivoluzione, insomma, è per ora solo a metà.

Riforme ad hoc in arrivo
I ministeri dello Sviluppo e dell'Economia sono al lavoro da mesi per elaborare molteplici riforme "chirurgiche", che eliminino gli ultimi intoppi alla nascita di questo mercato. «Sono tanti gli interventi necessari – osserva Paola Leocani, partner dello studio legale White & Case –. Bisogna innanzitutto agire sulle caratteristiche dei titoli, eliminando per esempio l'obbligo della quotazione dei mini-bond che ora ostacola il loro decollo. È poi necessario favorire l'accesso al mercato delle piccole imprese, con alcune modifiche alla legge sulle cartolarizzazioni. Poi servono interventi pubblici volti a garantire in vario modo le obbligazioni, ad esempio attraverso l'estensione del Fondo di Garanzia».
Queste sono proprio le riforme allo studio dei ministeri dello Sviluppo e dell'Economia. Così qualcosa inizia già a muoversi sul mercato. Dopo l'estate il mercato dei mini-bond potrebbe iniziare a germogliare, con nuovi investitori. «Il processo sarà lento – osserva Gallia –. Io sarei contento se nel medio termine il finanziamento bancario si ridurrà dal 92% al 70%, dando più spazio al mercato». Forse non si arriverà a questi livelli. Ma, visto che il credit crunch è strutturale, se non si prova a creare qualche alternativa l'Italia rischia di avvizzirsi come una foglia secca.

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