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Il downgrade ideologico della Francia

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Il downgrade ideologico della Francia

E così Standard & Poor's ha declassato il merito di credito della Francia. Che cosa ci dice questa decisione? Poco, in effetti, almeno riguardo alla Francia. È il caso di ribadire che le agenzie di rating non sono in possesso di informazioni speciali sulla solvibilità di una nazione, specialmente se parliamo di Paesi di queste dimensioni. Forse che S&P ha informazioni riservate sullo stato dei conti pubblici del Governo di Parigi? No. Dispone di un modello macroeconomico migliore di quello, per fare un esempio, del Fondo monetario internazionale? Non scherziamo.

Che cosa ci dice allora? Può essere utile mettere a confronto le proiezioni del Fmi per la Francia con quelle per un altro Paese negli ultimi tempi molto coccolato dalle agenzie di rating, la Gran Bretagna. Basandoci sulla banca dati del World Economic Outlook, che riporta numeri reali dal 2007 al 2012 e proiezioni del Fmi fino al 2018, possiamo vedere l'andamento del prodotto interno lordo reale pro capite e del rapporto debito/Pil sulle due sponde della Manica: riguardo al primo dato, la Francia finora se l'è cavata meglio della Gran Bretagna e secondo le previsioni del Fondo dovrebbe conservare questo vantaggio anche in futuro; riguardo al rapporto debito/Pil, vediamo che in Francia è leggermente più basso e nei prossimi anni – sempre secondo le previsioni del Fondo – la forbice dovrebbe allargarsi.

Ma allora perché la Francia è stata declassata? Perché, dice S&P, non ha realizzato quelle riforme che migliorerebbero le prospettive di crescita nel medio termine.
Che significa tutto questo?
È il momento di svelarvi un altro piccolo e sordido segreto. Che cosa sappiamo – intendo sappiamo realmente – su quali riforme economiche sono in grado di generare crescita e quanta crescita riusciranno a generare? La risposta è: non molto! In posti come la Commissione europea tutti parlano con grande sicurezza delle riforme strutturali e dei risultati meravigliosi che produrranno, ma dati chiari a supporto di tutte queste certezze non è che ce ne siano molti. C'è qualcuno che sa veramente se le politiche del presidente francese François Hollande si tradurranno in una crescita inferiore dell'X,X per cento (o più probabilmente dello 0,X per cento) di quella che si avrebbe se al timone ci fosse il commissario Olli Rehn? No.

E allora, ripeto, da dove nasce questo downgrade? Dolente, ma la mia opinione è che quando S&P si lamenta della mancanza di riforme, in realtà si si sta lamentando del fatto che Hollande abbia alzato le tasse ai ricchi invece di diminuirle, e che in generale non sia abbastanza liberista. Se vi ricordate, un paio di mesi fa il signor Rehn ha bocciato le politiche di rigore della Francia (esemplari, in realtà) perché l'esecutivo transalpino, scandalosamente, aveva alzato le tasse invece di tagliare lo Stato sociale.
Insomma, così come le invocazioni di austerity non hanno nulla a che vedere con la responsabilità di bilancio, le battaglie per le «riforme strutturali» non hanno nulla a che vedere con la crescita: in entrambi i casi, l'obbiettivo è smantellare lo Stato sociale.
Forse S&P non prende parte a questo gioco in modo del tutto consapevole: quando si entra in questi ambienti, cose che in realtà nessuno sa diventano parte di ciò che tutti sanno. Ma non prendete questo declassamento come la prova che c'è del marcio in Francia: qui stiamo parlando di ideologia, non di analisi economiche dimostrabili.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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