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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2014 alle ore 21:17.
L'ultima modifica è del 27 gennaio 2014 alle ore 10:30.

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Ci sono moltissimi indicatori che quotidianamente vengono monitorati dagli operatori dei mercati finanziari: il rapporto tra prezzi e utili medi di un listino e all'interno di quel listino del comparto di riferimento, ad esempio, è un dato di analisi fondamentale di grande rilevanza; c'è chi poi, come gli analisti tecnici, confrontano l'andamento dei grafici presenti con quelli del passato per trarne dei vaticini.

Gli strategist provano a osservare le cose un po' più dall'alto e ormai da un anno e mezzo - da quando Mario Draghi pronunciò il fatidico «Faremo tutto il necessario e, credetemi, sarà abbastanza» - ci ripetono che possiamo stare tranquilli almeno finchè le banche centrali manterranno il doping della liquidità sui mercati. Per scalare le dosi c'è tempo, quando la ripresa sarà più consistente.

Ciò non toglie che a ogni spike, a ogni segnale dei mercati, a ogni dato macro dalla Cina non ci si interroghi sullo stato dell'arte delle Borse, post crisi finanziaria. E così capita che per mesi si sostenga che i listini abbiano corso molto dal marzo 2009, troppo forse, visto che alcuni di loro sono sopra il massimo storico: un dato che 15 anni fa poteva rappresentare un elemento di consolidamento del successo tutto a un tratto diventa un campanello di allarme. Da mesi il doping delle banche centrali ha coperto questo suono e gli investitori hanno continuato a puntare al rialzo.

Poi, alla periferia dell'impero scoppia un piccolo tumulto: insignificante ai fini globali eppure proprio perchè globali il proverbiale battito di ali di farfalla rischia di provocare una tempesta al centro. Così la crisi valutaria argentina rischia di fungere da detonatore per qualcosa di più di una correzione significativa, forse una vera e propria inversione del ciclo. Perchè poi alla fine i cicli di Borsa si ripetono: Charles Dow, prima di fondare con Edward Jones e Charles Bergstresser, il colosso dell'informazione finanziaria, sosteneva a fine Ottocento che i cicli sono quinquennali e che si avvicendano con regolarità, anche se in modo sempre impreciso.

I cultori della materia storcerano il naso di fronte a un'analisi così grossolana e forse hanno ragione. Di fatto, la domanda cruciale - a che punto siamo del ciclo finanziario per sapere se comprare o vendere - è a un tale tasso di ansia che non di rado le analisi restano riservate. Con grande coraggio, quindi, Barclays Capital il 20 settembre 2008 pubblicò un'analisi sullo stato della crisi dell'epoca. La data la dice lunga sul livello non di ansia ma di terrore che vivevano gli operatori in quei giorni.

Gli analisti calcolarono che, considerata la media di durata e profondità dei cali della storia passata, lo S&P500 aveva margini di discesa ancora del 14,8% e per 332 giorni: la luce in fondo al tunnel sarebbe prevista per il 25 agosto del 2008. Considerando invece i dati mediani (che escludono i casi estremi) si poteva sperare di rivedere i livelli 2007 a fine aprile 2009, a seguito di un altro -10,1%. Le cose sono andate ancora meglio: il rimbalzo partì il 9 marzo del 2008, per proseguire ancora ora. O almeno fino a quando gli analisti non ne vaticineranno la fine.

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