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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2014 alle ore 13:36.
L'ultima modifica è del 28 agosto 2014 alle ore 14:15.

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Oggi il dibattito su austerità e flessibilità prosegue ininterrotto. In Francia è costato le dimissioni al ministro dell'Economia Arnaud Montebourg secondo cui la riduzione forzata dei deficit «ci porta all'austerità e all'aumento continuo della disoccupazione» e ora «deve passare in secondo piano». Montebourg aveva esortato ad «alzare la voce. La Germania - dice - è intrappolata nella politica di austerità che ha imposto a tutta l'Europa. Quando dico Germania, voglio dire la destra tedesca che sostiene Angela Merkel. La Francia non sente di doversi allineare sugli assiomi ideologici della destra tedesca».

In Austria, invece, il ministro delle Finanze austriaco Michael Spindelegger si è dimesso per motivi opposti. Criticato dal proprio partito - i conservatori del Partito del Popolo Ovp - per l'incapacità di ridurre le tasse per far ripartire l'economia.

Due esempi, quello francese e austriaco, che dimostrano che il dibattito su quale strada intraprendere tra maggiore flessibilità e prosieguo dell'austerità, resta aperto. Un dibattito con posizioni profondamente discordanti. Ma non quelle della Germania, che non sembra avaer cambiato opinione. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha ribadito ieri: «Non ci sono cambiamenti di rotta perché la necessità di riforme strutturali e finanze solide restano la giusta lezione della recente crisi dei debiti. Abbiamo bisogno di riforme strutturali in Germania e in Europa per garantire che le nostre economie restino competitive».

Nella sua nuova difesa all'austerity Schäuble fa riferimento alla recente crisi dei debiti riferendosi a finanze (pubbliche) solide. Il riferimento implicito alla «lezione della recente crisi dei debiti» è che la colpa dell'attuale crisi dell'Eurozona sia dovuta principalmente agli alti livelli di indebitamento di alcuni Paesi. Ma questo è un altro punto su cui i pareri non sono unanimi.

Secondo il vicepresidente della Banca centrale europea, il portoghese Vitor Costantio, la crisi è attribuibile all'esplosione di una bolla del debito privato nell'area euro che solo successivamente, tramite i piani di salvataggio, è ricaduta sui debiti pubblici. In un discorso riportato sul sito della Bce che risale al maggio del 2013, Costantio afferma: «Per avere una storia più accurata riguardo le cause della crisi, dobbiamo guardare non solo alle politiche fiscali: gli squilibri si sono originati per lo più nella crescente spesa del settore privato, finanziata dal settore bancario dei Paesi debitori e creditori».

«In certi paesi il debito pubblico è decresciuto, e in qualcuno è diminuito sostanzialmente. Per esempio, tra il 1999 e il 2007, il debito pubblico spagnolo è passato dal 62,4% del Pil al 36,3% del Pil. In Irlanda, nello stesso periodo, è diminuito dal 47% al 25% del Pil. Per quanto a livelli relativamente alti, il debito pubblico è diminuito anche in Italia (dal 113% al 103,3% del Pil) ed è aumentato solo di poco in Grecia. Al contrario dei livelli del debito pubblico, il livello del debito privato è aumentato nei primi 7 anni dell'euro del 27%. L'aumento è stato particolarmente pronunciato in Grecia (217%), Irlanda (101%), Spagna (75,2%), e Portogallo (49%), tutti Paesi che sono stati sottoposti a grandissimo stress durante la recente crisi. La crescita repentina del debito pubblico, d'altra parte, è iniziata solo dopo la crisi finanziaria. Nel corso di 4 anni, i livelli del debito pubblico sono aumentati di 5 volte in Irlanda e di 3 in Spagna. Da questa prospettiva, il rapido incremento dei livelli di debito pubblico deriva dal collasso delle entrate fiscali e dalle spese sociali, che sono aumentate durante la recessione quando sono stati attivati gli stabilizzatori automatici. Pericolose ripercussioni dal sistema bancario al debito sovrano, che sono emerse dopo l'inizio della crisi finanziaria, hanno ulteriormente indebolito i conti fiscali».

L'analisi è chiara: la causa della crisi è il debito privato e, tra le conseguenze, c'è anche l'aumento del debito pubblico. Ma oggi, quando il dibattito tra austerità e flessibilità prende come riferimento esclusivamente il tema del debito pubblico, a che punto è quel debito privato che avrebbe originato quella crisi da cui alcuni Paesi (tra cui l'Italia) non sono ancora usciti?

I dati Eurostat ci dicono che nella maggior parte dei Paesi la quota di debito privato in rapporto al Pil sta aumentando. La Grecia è passata dal 118% pre-crisi al 129%, la Francia dal 126% al 140%. Cipro è arrivato addirittura al 300%, soglia condivisa con l'Irlanda (306%). Senza dimenticare che Olanda e Danimarca continuano a viaggiare abbondantemente sopra il 200%. Come il Portogallo. In Italia è cresciuto dal 118% al 126%, un dato "contenuto" e tutto sommato tra i migliori rispetto ai 28 Paesi dell'Unione europea (l'Italia è al 20esimo posto tra i più bassi debiti privati/Pil).

In sostanza questi numeri documentano che probabilmente il dibattito è troppo baricentrato sul debito pubblico e, ancora una volta, si rischia di ignorare il tema del debito privato che - come accaduto per l'ultima crisi e come dimostrano gli economisti Reinhart & Rogoff nel libro ricerca "Questa volta è diverso" - è risultato essere, insieme al debito estero, la principale causa delle crisi economiche e finanziarie dell'ultimo secolo.

twitter.com/vitolops

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