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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2014 alle ore 15:55.
L'ultima modifica è del 16 ottobre 2014 alle ore 16:09.

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L’azione legale del colosso del fumo
A febbraio 2010, innervosite dalla perseveranza e, soprattutto, dal drastico calo dei consumi di sigarette registrato in Uruguay, tre affiliate di Philip Morris International hanno dunque avviato un'azione legale coi fiocchi presso l'Icsid, l'International Centre for the Settlement of Investment Disputes - istituzione della Banca Mondiale con sede a Washington deputata a risolvere le controversie sugli investimenti - con la motivazione che il piccolo stato avrebbe violato con le sue leggi restrittive sul fumo un trattato di investimento bilaterale con la Svizzera, dove (a Losanna) Philip Morris ha la propria sede. Tre anni e mezzo dopo, la disputa entra nel vivo. Proprio a Washington, presso l'Icsid, i legali del Paese sudamericano hanno appena presentato la memoria difensiva nell'arbitrato internazionale. Memoria in cui - come ricorda Paul Reichler, senior partner di Foley Hoag LLP - l'Uruguay mette sul piatto il «dovere, in capo a ogni governo, di proteggere la salute pubblica dalla minaccia eccezionale rappresentata dal consumo di tabacco, salvaguardando i diritti umani alla salute e alla vita».

Le linee guida Oms raccomandano di alzare la tassazione sulle sigarette
Nel frattempo, a Mosca sono in corso proprio in questi giorni i lavori della sesta conferenza tra i paesi firmatari della Framework Convention on Tobacco Control. L'accordo Oms del 2003 entrato in vigore a inizio 2005, insomma, e sulla cui base ieri i 179 delegati di tutto il mondo hanno adottato linee guida che raccomandano ai paesi di alzare le tasse sulle sigarette per contrastarne la diffusione. Una vetrina ideale, quella russa, per la ministra della salute di Montevideo Susana Muniz, che punta a incassare un rinnovato supporto in un momento cruciale della disputa. Dalla sua, ha la solidarietà dell'Organizzazione panamericana della sanità (Paho) così come dalla direttrice generale Oms Margareth Chan. Per non parlare degli studi pubblicati su Lancet, che registrano tra l'altro un crollo dei consumi dell'8% tra i giovanissimi in età scolare e un netto miglioramento della salute di neonati figli di mamme smoke-free. Sul piano morale l'Uruguay avrebbe quindi stravinto. Se non fosse che l'attribuzione dell'arbitrato al Centre for settlement of investment disputes ha segnato un punto importantissimo a favore di Philip Morris. «Si inscrive infatti - spiega Matthew Mayer, presidente della ong Usa Campaign for Tobacco-Free Kids - in un trend che vede grandi multinazionali del tabacco servirsi di accordi commerciali internazionali e di tribunali per impedire ai governi di adottare efficaci e comprovate misure per ridurre il consumo di tabacco».

Philip Morris vs Uruguay è una causa-pilota
Philip Morris vs Uruguay è quindi una causa-pilota. La vittoria dell'una o dell'altra parte influenzerà decisamente la giurisprudenza internazionale e soprattutto le scelte di politica sanitaria nel mondo. Con buona pace dei dati schiaccianti secondo cui il fumo uccide ogni anno sei milioni di persone, che diventeranno 8 milioni nel 2030. Concentrati per lo più (80%) nei Paesi in via di sviluppo: i più fragili, appunto, sia sotto il profilo della salute sia per politiche sanitarie sia, per capacità di contrastare le strategie delle grandi multinazionali.

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