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Oracolo di Delfi o mago Otelma? Tutte le previsioni errate dell’Aie…

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DIETRO LA CRISI DEL MERCATO PETROLIFERO

Oracolo di Delfi o mago Otelma? Tutte le previsioni errate dell’Aie sul petrolio

C'è uno spettro che si aggira sulla crisi del mercato petrolifero mondiale.
Non è l'Arabia Saudita, che con la sua decisione di non tagliare la produzione di greggio richiesta a gran voce dall'Opec ha innestato il crollo dei prezzi del petrolio a partire da novembre 2014.

Non sono nemmeno gli Stati Uniti, che grazie alla rivoluzione dello shale oil hanno contribuito come nessun altro all'eccesso di produzione che ha strutturalmente indebolito il mercato. Non è nemmeno il terrorismo islamico, che pure si aggira minaccioso sul destino di grandi paesi produttori, né la situazione esplosiva che investe la Russia, tra crisi ucraina e crollo delle entrate petrolifere e del gas per il governo centrale. Lo spettro di cui parlo è quello dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE), forse il maggiore responsabile della cattiva informazione che ha avuto un ruolo decisivo nello scatenare l'attuale crisi.

Per i non addetti ai lavori, l'Agenzia è l'organismo costituito dai governi dei paesi industrializzati all'indomani del primo shock petrolifero (1973) per garantire una migliore raccolta di informazioni sul settore; da allora è assurta a principale e più ascoltata fonte globale di dati e analisi sul mondo dell'energia. Non c'è governo, giornale, televisione, think-tank, banca o fondo d'investimento che prescinda dalle elaborazioni e previsioni periodiche dell'Agenzia: per questo i suoi errori possono avere un effetto-valanga. E di errori, l'Agenzia, ne ha inanellati fin troppi nella sua storia, dimostrandosi sempre brava nel prevedere il passato, mai a dare indicazioni né sul futuro immediato né tantomeno sul lungo termine.

L'elenco delle sviste clamorose è troppo lungo e perfino tedioso da ripercorrere: citerò solo alcuni esempi generali e due più specifici. Agli inizi del nuovo secolo, l'Agenzia fu totalmente incapace di prevedere la lunga corsa al rialzo dei prezzi del petrolio, che nel 2008 raggiunsero il loro record storico. Soltanto in pieno boom dei prezzi cambiò atteggiamento, avvertendo il mondo che l'offerta di greggio sarebbe stata costantemente limitata negli anni a venire, contribuendo a rafforzare l'idea che l'era del declino della produzione petrolifera fosse davvero dietro l'angolo. Fino a pochi anni fa, poi, non si accorse della rivoluzione dello shale negli Stati Uniti, continuando a dare scontato che il paese sarebbe diventato un grande importatore di gas e avrebbe importato ancor più petrolio. Gli stessi errori madornali riguardano le previsioni dell'Agenzia su tutte le altre fonti di energia.

Vengo adesso ai due esempi di dettaglio di cui ho accennato prima, per avvicinarmi al cuore del problema. Per gli amanti delle previsioni a medio-lungo termine, nel 2000 l'Agenzia previde per il 2010 un prezzo medio del greggio di poco superiore ai 28 dollari a barile: il prezzo medio del Brent nel 2010 fu di quasi 80 dollari, ma ormai nessuno ricordava più la previsione fatta dieci anni prima dalla sagace organizzazione. Al contrario, nel 2014 l'Agenzia confermò più volte che il prezzo del Brent sarebbe rimasto su livelli superiori ai 100 dollari, prevedendo che l'offerta di greggio avrebbe sostenuto con fatica la crescita della domanda. Si è visto com'è andata a finire.

Per questi motivi ho parlato di uno spettro che si aggira sul mercato petrolifero. Uno spettro capace di influenzarlo più di molti paesi produttori, crisi, speculatori a cui di volta in volta si cerca di attribuire parte della responsabilità di quanto avviene nel mercato stesso. Con le sue analisi e previsioni, in effetti, l'Agenzia contribuisce come pochi a plasmare le aspettative degli operatori. Così, per esempio, se tutti sono convinti che tra poco ci sarà penuria di petrolio, tutti saranno indotti a investire qualunque cifra per sviluppare giacimenti anche in aree impossibili – come l'Artico – o a speculare su ogni cosa che assomigli vagamente al greggio. E questo è quanto accaduto negli ultimi anni, quando pure era evidente che la capacità produttiva di petrolio stava crescendo a ritmi impressionanti rispetto alla domanda (cosa che avevo segnalato più volte), e che prima o poi un crollo dei prezzi sarebbe stato inevitabile.

Ma non era così evidente per l'Agenzia che – forte della memoria corta di chi continui a ascoltarla e a venerarla come l'Oracolo di Delfi – ha contribuito a alimentare i fenomeni che hanno portato il mercato del petrolio dove si trova adesso. Più che un Oracolo di Delfi un Mago Otelma, ma scevro da atteggiamenti pittoreschi e pretese esoteriche che possono mettere in guardia anche lo spettatore poco attento. No, l'Agenzia si presenta con il crisma della serietà scientifica dei suoi modelli e la benedizione di ufficialità che le conferiscono i governi da cui è stata costituita e nutrita nel tempo. Per questo tutti continuano ad ascoltarla, incuranti o non consapevoli dei suoi errori passati. E per questo sarebbe ora che i suoi azionisti – cioè i governi dei paesi industrializzati – si chiedessero se non sia giunto il tempo di cambiare qualcosa nel suo funzionamento.

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