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Enel, il Tesoro incassa 2,16 miliardi

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Enel, il Tesoro incassa 2,16 miliardi

  • –Laura Serafini

Il ministero dell’Economia manda a buon fine il collocamento del 5,74% di Enel incassando 2,16 miliardi. L’operazione avviata nella serata di mercoledì è stata conclusa ieri mattina.

Le quattro banche incaricate del collocamento, Goldman Sachs, BofA Merrill Lynch, Mediobanca e Unicredit, hanno interamente collocato gli oltre 540 milioni di azioni messi in vendita a un prezzo per azione di 4 euro, la soglia minima fissata dal ministero del Tesoro. Il collocamento è stato considerato un successo, perchè l’intero ammontare è stato venduto in un arco molto ristretto di tempo a un prezzo che mette al riparo il titolo Enel da ripercussioni in Borsa. Lo sconto sulla chiusura di mercoledì, pari a 4,048 euro, è stato praticamente inesistente. Il titolo ha accusato un po’ il colpo ieri in mattinata ad apertura contrattazioni, quando ha ceduto oltre il 2 per cento anche se, secondo i collocatori, il motivo va ricercato nel fatto che chi compra nuove azioni per fare spazio nel portafoglio vende altri titoli a valori più elevati.

Nel corso della giornata la perdita è stata quasi in buona parte assorbita (-0,44% ) e le azioni hanno chiuso a 4, 03 euro, dunque sopra il prezzo di collocamento.

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Il regolamento della compravendita sul mercato dei blocchi ci sarà il prossimo 2 marzo; dal giorno seguente la partecipazione del ministero dell’Economia scenderà dal 31,2 al 25,5 per cento. Il book degli investitori che hanno preso parte all’operazione risulta molto frammentato e non ci sono nuove posizioni rilevanti nell’azionariato di Enel.

Gli acquirenti sono in buona parte statunitensi e inglesi, con una presenza molto limitata nel resto d’Europa e in Italia. Una parte consistente dei titoli è stata ceduta ad hedge fund americani: i gestori di questo tipo di fondi molto speculativi hanno infatti una capacità decisionale più rapida rispetto agli investitori istituzionali quando si tratta di comprare ingenti quantità di titoli in un lasso di tempo molto ristretto. La nota diffusa ieri dal ministero dell’Economia (assistito nell’operazione dagli advisor Equita sim e Clifford Chance) precisa che l’azionista pubblico si è impegnato con le quattro banche incaricate del collocamento (i jointbookrunners) «a non vendere sul mercato ulteriori azioni Enel per un periodo di 180 giorni senza il consenso degli stessi e salvo esenzioni come da prassi di mercato». Un impegno che, in realtà, è a dir poco ridondante. C’è da stare certi che l’azionista pubblico non cederà altre azioni di Enel, perchè già essere scesi sotto la soglia del 30% (oltrepassata la quale è necessario lanciare un’offerta pubblica di acquisto totalitaria sulla società e per questo considerata una barriera difensiva per l’azionista già presente a quella quota), rende un po’ più contendibile la società. Un vero e proprio rischio di scalata, comunque, non c’è: la partecipazione al 25% consente allo Stato di avere potere di veto sulle operazioni straordinarie che vadano all’approvazione dell’assemblea. E, comunque, in Enel continua a vigere il vincolo del 3% al possesso azionario per i soci diversi dallo Stato che impedisce rastrellamenti siginificativi di titoli. La norma del ’94 sulle privatizzazioni, che introduce il tetto al possesso azionario, prevede inoltre che in caso di Opa totalitaria quel tetto decada, ma a patto che l’acquirente abbia il 75% di adesioni. Evento da escludere per Enel visto che lo Stato ha il 25,5 per cento.

È anche vero, però, che la recente introduzione negli statuti di società pubbliche dei nuovi requisiti di onorabilità per gli amministratori voluti dal Tesoro ha mostrato che queste aziende, come anche Eni e Finmeccanica (nelle cui assemblea i fondi hanno bocciato e impedito l’applicazione di quei requisiti), sono ormai public company dove anche i fondi possono fare sentire la voce e far passare la loro linea. Con lo Stato al 25,5% nel capitale di Enel questa metamorfosi non può che accentuarsi. I fondi potrebbero arrivare a bocciare persino il bilancio. Non potrebbe, invece, essere cambiata la maggioranza del cda perchè con il voto di lista i fondo possono al massimo votare una lista diversa da quella presentata dal Tesoro.

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