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Perché i mutui a tasso fisso hanno sorpassato i variabili (e potrebbe…

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Perché i mutui a tasso fisso hanno sorpassato i variabili (e potrebbe essere un errore)

La notizia c’è tutta. I mutui a tasso fisso sono tornati in vantaggio rispetto ai mutui a tasso variabile. Le ultime elaborazioni di MutuiOnline.it certificano il sorpasso. Nel primo trimestre dell’anno le erogazioni di mutui a tasso fisso (52,5% del totale) hanno superato quelle a tasso variabile (43,9%) lasciando alla formula a tasso misto (3,8%) e variabile con cap (1,6%) il residuo. Anche nelle richieste si evidenzia il sorpasso del fisso, passato dal 40,9% di fine 2014 al 64% mentre allo stesso tempo il variabile è scivolato dal 52% al 31,2%.

Questo il trend, dietro il quale si nasconde l’esplosione delle surroghe che ormai - sempre stando alle elaborazione di mutui richiesti via web - fanno la voce grossa del mercato occupando la fetta più importante: 62,6% lasciando ai mutui nuovi per l’acquisto della prima casa il 29,9%, la percentuale più bassa di sempre (si pensi che nel 2005 erano al 77% del totale dei mutui).

Incrociando i due trend, ricaviamo che oggi la maggior parte dei mutui erogati sono surroghe (ovvero miglioramenti spostandosi presso un’altra banca delle condizioni del vecchio mutuo) e sono per lo più a tasso fisso. La fetta più grande riguarda quei mutuatari che stanno pagando un tasso fisso alto (superiore al 4%), stipulato negli ultimi anni quando l’Italia non era in deflazione e i tassi erano più alti e quindi decidono di abbassare il tasso intorno al 3%, o poco più giù, adeguando il mutuo in corsa alle mutate condizioni di mercato e alle nuove offerte di mutui di surroga a tasso fisso.

C’è anche chi si sposta da fisso a variabile, profittando del fatto che i tassi bassi hanno praticamente azzerato gli indici interbancari a cui è agganciato il mutuo a tasso variabile (sia il tasso Bce che è allo 0,05 che gli indici Euribor con quello a 1 mese che è addirittura leggermente negativo). Ne consegue che oggi si riesce nelle migliori condizioni a strappare un mutuo variabile con un tasso di interesse di poco superiore all’1,5%, praticamente quasi la metà del tasso fisso, che pure è ai minimi storici dato che gli indici interbancari a cui è agganciato alla data di stipula, ovvero gli Eurirs, sono sotto l’1% per scadenze comprese da 1 a 50 anni. Non era mai successo nella storia dell’Eurozona.

Ma se tanto il fisso quanto il variabile sono ai minimi di tutti i tempi, come mai c’è la rincorsa al fisso più che al variabile che costa addirittura la metà? È questa la domanda del momento sul fronte mutui.

C’è più di una risposta. Innanzitutto dietro il sorpasso del fisso al variabile c’è anche la spinta delle banche verso il fisso: il mercato dei mutui, quanto alla tipologia del tasso scelto, è molto influenzato dalle proposte che vengono suggerite allo sportello. In questo momento le banche preferiscono erogare mutui a tasso fisso e lo si vede anche nei dati.

E poi c’è la domanda, ovviamente, non del tutto succube delle intenzioni dell’offerta. Una buona parte della domanda oggi preferisce il fisso perché le condizioni nominali sono difatti irripetibili ed, essendo il mutuo un prodotto poliennale, c’è l’idea di fare un affare a fissare oggi un tasso ai minimi storici per i prossimi 25-30 anni.

Questa idea ha sicuramente sensatezza logica ma se avrà sensatezza finanziaria lo scopriremo solo negli anni a venire. Quelli che ci diranno se l’Italia e l’Eurozona (difficile scorrelarle) saranno uscite dalla trappola della deflazione, quella deflazione che rende oggi i tassi reali deimutui più cari di circa 6-7 volte nel breve periodo rispetto ai mutui stipulati nel periodo pre-crisi 2011). E ci diranno se avrà avuto senso partire con un tasso di interesse doppio (il fisso di oggi rispetto al variabile) a fronte di una rinormalizzazione dell’economia e dell’inflazione.

Nella scelta tra le due soluzioni molto dipende dalla durata residua del mutuo. Se mancano 5-10 anni optare per un fisso che costa il doppio potrebbe rivelarsi finanziariamente paradossalmente più rischioso del variabile, dato che il peso degli interessi sulla rata va scemando nel tempo (si pagano proporzionalmente di più nei primi anni) e quindi l’impatto di un eventuale rialzo dei tassi sarebbe molto limitato e non sufficiente da giustificare l’accettare di pagare un tasso doppio con il fisso oggi per stare tranquilli.

Se invece mancano più anni alla fine del mutuo, l’idea del fisso inizia a prendere senso. Ma si tratta in ogni caso, di una scommessa: la scommessa che la Bce sia più lesta della Fed ad alzare i tassi, tenendo conto che sono sette anni che la Fed non alza i tassi, neppure dopo aver completato a ottobre scorso un triplice piano di iniezione monetaria (quantitative easing) durato cinque anni. Quel piano è invece appena partito nell’Eurozona (la Bce ha lanciato il quantitative easing il 9 marzo, esattamente un mese fa) dovrebbe durare almeno 18 mesi. Un anno e mezzo in cui i mutuatari hanno la certezza che i tassi resteranno sui livelli attuali, cioè a 0. Dopodiché si vedrà e dipenderà dall’inflazione.

Fisso o variabile quindi? Il dilemma resta apertissimo e per nulla scontato, pur nell’era glaciale della finanza. I numeri e le statistiche ci dicono che se la massa si sposta verso il fisso non è sempre detto che sia la soluzione ottimale. Ma la risposta esatta a questo legittimo dubbio arriverà solo col tempo.

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